mercoledì 20 maggio 2020
Oggi si tende a definire “cinico” chi è indifferente alle sorti altrui, o a quali mezzi debba adoperare per rafforzare gli obiettivi. Ma nel movimento filosofico che ne ha stabilito il ruolo all'interno del nostro pensiero morale “cinico” significava tutt'altra cosa, ossia lo spegnersi volontario di ogni inutile orpello intellettuale, ma anche materiale, alla ricerca della semplice “essenza umana”. E di questo ci resta forse una delle immagini più icastiche del pensiero antico, quella del cinico Diogene, che in pieno giorno, con una lanterna illuminata ben alzata, circola per l'urbe proclamando ad alta voce: “Cerco l'uomo!”, a designare, in mezzo agli uomini, l'utopia di un uomo “vero” in mezzo a tanti simulacri dello stesso. Qualcosa di simile vale anche per “L'epicureo”, ritratto per secoli come chi è dedito ai piaceri materiali. La definizione è in parte giusta per la qualità, ma non per la quantità. Con lo stesso senso della misura del cinico, ma più garbatamente proponendosi, l'epicureo si accontenta solo del necessario, come ci ricorda una delle poche sentenze rimasteci, tra i frammenti del fondatore del movimento. Fu infatti lo stesso Epicuro a lasciarci la celebre frase, estrapolata da una lettera: “Mandami una forma di formaggio, affinché anche io, qualora lo volessi, possa scialare”.
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