giovedì 1 settembre 2016
Tragedie ripetute, ma talora occasione di pensieri diversi, persino positivi. Papa Francesco ha manifestato la sua vicinanza paterna e fraterna alla gente del terremoto che gli ha fatto arrivare il suo "grazie" unanime. Unica eccezione una sorta di avvertimento sbrigativo sul "Tempo" (30/8, pp. 1 e interno): «Il Papa resti in Vaticano... C'è già troppa confusione». Così Roberto De Mattei. Leggi e ricordi che dietro questo imperativo c'è una storia con diverse fasi. Da mezzo secolo il professore succitato è scontento della Chiesa: «Resti!» – intima – quella che era da sempre, senza cedimenti, cioè per esempio quella di Pio XII! E la Messa? Quella di San Pio V! Come una vocazione all'imperativo celebre – "fermati, o Sole!" – esteso al massimo e da sempre. È libertà... Ma in particolare in questo tempo di papa Francesco questo "resti!" è stato forte fin dall'inizio. «Resti nel Palazzo Apostolico!», inteso – sbagliando e assolutizzandone lo storico ruolo – come "lontananza" dal mondo, perché è solo dalla «distanza» – testuale – che si percepisce «il sacro». Come se Dio non si fosse fatto vicino e bambino, tra i più semplici. E oggi? La vocazione a fare il "maestro" della Casa Pontificia è rimasta: «Resti!». Ma con un'osservazione positiva: una miglioria notevole. È infatti risaputo che ai tempi di altri terremoti il professore aveva voluto ricordare a tutti che il terremoto è – o forse può essere – «un castigo di Dio per punire i peccatori». Stavolta no! Almeno finora. Che dire? A parte la vocazione permanente a dirigere la Casa Pontificia – in verità, già di suo ben diretta – per il professor De Mattei un passo avanti di dottrina e di buon senso. Per fortuna non è arrivata alcuna teologia delle sventure, e l'altro ieri ci ha pensato il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, a chiarire ogni equivoco: «A uccidere non è il terremoto, non è Dio, ma le opere dell'uomo!».
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