Siamo vivi affrontando gli ostacoli con il «noi»
giovedì 12 marzo 2020
«L'appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene. L'appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L'appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un'apparente aggregazione. L'appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Uomini, uomini del mio passato, che avete la misura del dovere e il senso collettivo dell'amore, io non pretendo di sembrarvi amico. Mi piace immaginare la forza di un culto così antico, e questa strada non sarebbe disperata, se in ogni uomo ci fosse un po' della mia vita. Ma piano piano il mio destino è andare sempre più verso me stesso e non trovar nessuno. L'appartenenza è assai di più della salvezza personale, è la speranza di ogni uomo che sta male, e non gli basta esser civile. È quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa, che in sé travolge ogni egoismo personale con quell'aria più vitale che è davvero contagiosa». Ascolto Gaber, soffro il momento come tutti noi e rimembro i racconti dei nonni quando ero piccolo, e la lezione quotidiana era che la nostra vita può cambiare, che si può perdere tutto (anche il lavoro) ma non gli affetti, che i veri valori non sono quelli dell'egoismo ma della solidarietà, che i generi di prima necessità possono di punto in bianco diventare più preziosi dell'oro, che la nostra vita è come quella degli altri, e dalla nostra vita dipende anche quella degli altri. «L'appartenenza è un'esigenza che si avverte a poco a poco, si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo. È quella forza che prepara al grande salto decisivo, che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti in cui ti senti ancora vivo». Colgo il sintomo di felicità: basta un essere microscopico a farci sentire in un istante tutti uguali. Città, regioni, nazioni e mondo in un istante cancellano i loro confini. Come se tutti salissimo in una grande barca, invitati a remare dalla stessa parte. «Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi». Grazie Giorgio Gaber.
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