Siamo tutti antiquati, ma davanti alla tecnica occorre più prudenza
venerdì 11 luglio 2014
Posso
essere considerato un uomo antiquato, ma non credo di essere il solo, dato che
questo mi è capitato negli ultimi vent’anni, il periodo da molti definito come
il più innovativo della storia umana. È vero che forse esagero, perché ho
ricominciato a scrivere a mano, ignoro internet e colleziono ancora ritagli di giornale.
Ma ricordo che in un bellissimo saggio autobiografico scritto intorno al 1960,
quando aveva sessantacinque anni, il grande critico americano Edmund Wilson
disse che viveva come un uomo del Settecento: non andava al cinema, niente
televisione, aveva smesso di viaggiare in macchina e non si informava più della
vita politica americana. Eppure dal 1930 al 1950 era stato uno degli intellettuali
più produttivi e impegnati dell’Occidente. Dai ritagli dei giornali delle
ultime due settimane mi sento abbastanza confortato. Risulta sempre più chiaro
che, come diceva il titolo di un libro di Günther Anders, L’uomo è antiquato. Noi esseri ancora
tradizionalmente umani, per quanto si faccia, prima o poi, più prima che poi,
diventiamo obsoleti, macchine lente e disturbate. L’Italia, paese mediamente sviluppato,
venera ancora il progresso tecnologico come un feticcio, eppure lo usa ancora
poco e male. Negli Stati Uniti e in Inghilterra si valutano meglio i danni dell’informatizzazione.
Leggo che Jaron Lanier, famoso ingegnere a Microsoft Research, constata allarmato
che il Web sta distruggendo la classe media professionale e commerciale. L’occupazione
diminuisce anche se la produttività aumenta, cosa mai prima avvenuta. «Google
diventa sempre più ricco e noi che lo alimentiamo sempre più poveri». La musica
gratis impedisce ai musicisti di vivere. Amazon stermina sia le librerie
indipendenti che le grandi catene librarie. Il piccolo commercio sparisce. I giornalisti
diventano superflui, o meglio sembra strano pagarli. Infine la cosiddetta “intelligenza
artificiale”, dicono i neuroscienziati, somiglierà sempre meno all’intelligenza
che conosciamo e questo (mi pare) cambia l’idea stessa di cultura. In un tablet
sono concentrate intere biblioteche. Ma chi ne sentirà il bisogno?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: