Si chiamerà «La Paz FC» la squadra che ha già vinto tutto
mercoledì 7 febbraio 2018
Lo sport serve a costruire identità. È sempre stato così, dall'antichità classica fino ai nostri giorni. Chiunque sia nato dopo la fine della 2ª Guerra Mondiale (non penso solo ai millennials, ma anche a uomini e donne che oggi arrivano ai 70 anni di età!) ha tenuto in mano una bandiera italiana fondamentalmente solo per ragioni legate a grandi vittorie sportive. Il contrasto con gli sciagurati fatti di Macerata fa ulteriormente riflettere: vedere quel tricolore portato sulle spalle, così come farebbe un atleta vincitore di una medaglia olimpica, trasmette orrore, trasuda violenza. In quella bandiera non c'è niente che dimostri qualcosa da difendere, ma solo voglia di qualcosa da distruggere. Lo sport, in particolare da quando a fine '800 sono state codificate le regole degli sport di squadra, è un modo di trasportare su un terreno pacifico grandi conflitti, orientare le grandi pulsioni distruttive, incanalare energie che, se non controllate, sfocerebbero in dinamiche molto più pericolose.
Lo sport, è vero, ha anche contribuito a far scoppiare guerre: il caso più noto, anche perché raccontato con la maestria narrativa di Ryszard Kapuscinski ne La prima guerra del football e altre guerre di poveri, è quello del brevissimo conflitto combattuto nel 1969 tra Honduras e Salvador che prese le mosse dagli incontri di qualificazione per i Mondiali del 1970. Molto, molto più spesso lo sport ha contribuito a fermare conflitti, a favorire la pace. L'ultimo esempio arriva dalle manovre di riavvicinamento fra la Corea del Sud e quella del Nord in occasione dei Giochi Olimpici che stanno per iniziare, tanto che un grande intellettuale e storico dell'olimpismo, Mario Pescante, ha riproposto una geniale intuizione: quella di candidare il Comitato Olimpico Italiano al Premio Nobel per la pace.
Lo sport (quelli di squadra persino di più) ha dunque il privilegio di essere strumento di costruzione di identità e latori di nuove narrazioni. È questo il caso della Colombia, un Paese straordinario, da dove ho la fortuna di scrivere questo articolo. In questo pezzo di mondo, lacerato violentemente per tanti anni dal conflitto armato, oggi le più grandi energie sono indirizzate al tentativo di narrare una nuova immagine di sé al mondo: quella del post-accordo di pace. Ecco perché le Farc (le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia che, il 23 giugno 2016 dopo cinquanta anni di ostilità, hanno siglato con il governo colombiano l'accordo per il definitivo cessate il fuoco) hanno deciso di fondare una propria squadra di calcio. Dopo diversi mesi di colloqui le fondazioni Fútbol y Paz, Construyendo País e la Farc hanno firmato un accordo che impegnerà questi soggetti nel tentativo di fondare una squadra di calcio. L'obiettivo è che la squadra possa competere nella seconda divisione del calcio professionistico colombiano, oltre a schierare un team under-20 e una squadra femminile da iscrivere nel rispettivo campionato professionistico.
L'idea ha raccolto il sostegno del governo e del massimo dirigente della Farc, Rodrigo Londoño ed è strenuamente portata avanti dall'avvocato ed esperto di diritti umani Félix Mora, fin dal 2014, quando fu aperta la possibilità della società civile di contribuire alla negoziazione politica. La fondazione Fútbol y Paz aveva proprio questo scopo. Era però necessaria la consulenza di qualcuno che conoscesse a fondo il calcio, così sono stati coinvolti gli ex-calciatori Alfonso Cañón, Bonner Mosquera e anche una vecchia conoscenza del campionato italiano: Faustino Asprilla, attaccante del Parma degli anni '90.
L'idea è che le tre squadre verranno formate da ex-combattenti dei gruppi armati, vittime del conflitto e abitanti delle regioni colpite dalla guerra. «Vogliamo vedere i combattenti delle Farc, che stanno facendo il loro percorso di transizione verso la vita civile, unirsi alle vittime in una squadra di calcio per competere professionalmente. Vogliamo che l'universo di 8 milioni di vittime che ha lasciato il conflitto armato in Colombia abbia una rappresentanza sportiva con una propria squadra». L'ultima suggestione è nel nome che è stato scelto: la squadra si chiamerà La Paz FC e l'obiettivo è che nel 2018 l'idea si trasformi in realtà. Raccontarla è lo strumento migliore per far sì che accada.
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