venerdì 10 febbraio 2017
Un amico mi passa i dati dell'Aie, l'Associazione degli Editori Italiani, sul mercato librario degli ultimi tempi. Sono sconcertanti, e andrebbero meditati da tutti coloro che si occupano di cultura. Nel mercato italiano sono stati editi l'anno scorso 66.000 libri, sei volte quelli degli anni Ottanta dello scorso secolo. I lettori non crescono, sono sempre più o meno gli stessi, ma è significativo leggere nel rapporto dell'Aie che il 38,6% di dirigenti, imprenditori e liberi professionisti dice di non aver letto, nel corso di un anno, neanche un libro, mentre è solo l'11% che dice di leggere almeno un libro al mese. Tra i laureati il 25% non legge neanche un libro all'anno! Le case editrici sono ben 4.608, e gettano sul mercato 66 mila libri all'anno contro i 13 mila del 1980. Di essi ben 18 mila sono di narrativa, contro i mille del 1980. In quarant'anni – ha scritto un osservatore, Andrea Coccia – la produzione libraria è aumentata del 600 per cento, ma nella narrativa l'aumento è del 1.800 per cento! Diciamolo: un vero delirio. Gli editori hanno l'obbligo del fatturato, specialmente i grandi e medi, e non si sentono affatto responsabili della qualità della merce che sfornano, l'importante è che, sia pur per brevissimo tempo, circolino sugli scaffali e sui tavoli delle librerie più titoli possibile, e se poi raggiungono qualche lettore oppure no è un fatto secondario. Il denaro deve girare, e "la cultura" è un modo di farlo girare. C'è qualche affinità con ciò che avviene col denaro riciclato dalle mafie? Non mi intendo di giri bancari e finanziari e non so dirlo, ma certamente c'è nel mercato librario qualcosa di losco, e certamente non si produce perché si innalzi il livello culturale dei cittadini... Ripeto: è un delirio, sul quale dovrebbero soffermarsi a ragionare tutti coloro che scrivono di libri sui nostri giornali, e ovviamente tutti coloro che si mettono a scrivere libri pensando di fare chissà cosa, di nobilitare la propria esistenza e darle un senso o di mirare al successo che arride a quanti – essi pensano e hanno qualche ragione per pensarlo – non valgono poi molto più di loro... (Se tutti scrivono, è diventata una cosa molto volgare quella di scrivere, dice un altro amico.) Una produzione senza un conseguente consumo è un'assurdità tipica del capitalismo, ma in passato non riguardava la merce libro e oggi invece sì. Bisognerebbe forse, noi che scriviamo di libri e pensiamo che i libri siano una cosa importante, diventare drasticamente selettivi, se non vogliamo diventare schiavi delle assurde logiche di un assurdo mercato.
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