giovedì 12 settembre 2019
Lo ordinano bollente, senza nemmeno un velo di incertezza.
Ma assolutamente con la schiuma. Nessun rossore oltre a quello provocato dal sole, nessun imbarazzo. È l'ora dell'aperitivo in riva al mare: la coppia seduta al tavolino del bar sembra tedesca e aspetta golosa. Come si possa scegliere di tuffarsi in un cappuccino mentre il popolo della sera si prepara ad andare a cena, resta uno dei misteri di questa fine estate. Ma loro, gli stranieri che amano l'Italia e le sue eccellenze a qualunque ora, sono fatti così: assorbono ciò che piace anche a noi senza bisogno di sincronizzarsi sul nostro orologio biologico.
Tempistica a parte comunque, è difficile non pensare che il protagonista della scena sia proprio lui, il cappuccino. Si chiama così, senza traduzione, in tutte le città del mondo. Caffè espresso e latte schiumoso, niente altro: multinazionali specializzate in colazioni ci hanno montato sopra una fortuna. Come per la pizza margherita, o gli spaghetti al pomodoro. Qualcosa unisce questi simboli, che tutti imitano e nessuno riesce a fare meglio di noi: la filosofia che sta alla base del loro successo è solo la capacità di sfruttare elementi di grande semplicità per ottenere quel carattere di esclusività capace di imporli sul mercato globale. In questo caso la parola “semplice” smette di essere sinonimo di “povero” per diventare bandiera di creatività e qualità del prodotto.
Senza voler ingigantire immagini e suggestioni oltre la loro reale portata, non è esagerato pensare che la “lezione del cappuccino” dovrebbe convincere sul valore inestimabile della sobrietà dei consumi. La nostra generazione è ancora attratta dall'estetica complessa di ciò che pensa, usa e mangia, ma intimamente è stanca delle sofisticazioni. E inizia a soffrire di bulimia nervosa conseguente a ciò che è troppo costruito, lavorato, complicato da ingredienti innaturali. L'aspetto più interessante è che l'austerità volontaria che ci porta sempre più a riscoprire sapori e suggestioni semplici non deriva da una rinuncia, ma da una scelta consapevole che diventa la nuova cifra culturale del nostro tempo. Così, inaspettatamente, questa tendenza convive con un interesse sempre più marcato per la moda, il buon vivere, l'espressione di sé, che non sono affatto in crisi ma che anzi tutte le rilevazioni statistiche testimoniano in crescita. Mentre è in declino invece l'interesse per l'apparenza in quanto tale, la massificazione, l'esibizione di prodotti status symbol che sono diventati sinonimo di volgarità.
Sano, semplice, magari anche low-cost: in un contesto di corsa alla liberazione dagli stereotipi, sono diventate queste le modalità di consumo preferite. Chi fa la spesa è diventato più lucido, competente (o almeno informato), abbastanza adulto per non farsi manipolare dal marketing e dalla pubblicità. Un sondaggio recente afferma che il 71% degli italiani pensa che il prezzo conveniente oggi non sia più sinonimo inevitabile di bassa qualità, ma di correttezza da parte del produttore. E a ispirare tutto questo, c'è probabilmente una grande forma di rispetto di sé stessi e delle proprie scelte. Che diventerebbe strepitosamente vincente se si trasformasse anche in rispetto per gli altri. Qui, purtroppo, siamo ancora all'età della pietra, mentre è questa la chiave per affrontare il futuro. Dobbiamo cioè entrare nell'ordine di idee che comportarsi bene è soprattutto bello, che chi fa la raccolta differenziata della spazzatura non esegue solo un dovere ma è parte di un piano superiore, che chi parcheggia in modo corretto non è solo un'automobilista che rispetta il codice della strada ma una persona che vale più degli altri.
Loro intanto finiscono quel cappuccino come aperitivo. Tedeschi, probabilmente: lontani da noi, più ricchi quasi certamente, ma consapevoli forse che quella semplice bevanda che hanno assaggiato qui, non la troveranno così buona a casa loro. È la nostra forza, basterebbe capirlo e farne un tesoro.
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