mercoledì 18 febbraio 2009
Di sociologia della secolarizzazione si discute, in Italia, almeno dal 1961, quando le Edizioni di Comunità pubblicarono il tuttora fondamentale libro di Sabino S. Acquaviva, dal bellissimo titolo Eclissi del sacro nella civiltà industriale. Già Max Weber (1864-1920) sosteneva che nei Paesi occidentali la diffusione della razionalità illuminista avrebbe scalzato la fede nella religione; ed Émile Durkheim (1858-1917) aveva ipotizzato che l'industrializzazione avrebbe favorito l'impegno sociale istituzionale ridimensionando le iniziative sociali cristiane. Si sono avverate tali previsioni? Il punto della situazione è stato fatto recentemente nel volume Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato di Pippa Norris e Ronald Inglehart, tradotto dal Mulino nel 2007 (pp. 384, euro 28). Si tratta di un'inchiesta condotta in un'ottantina di Paesi con tutte le garanzie metodologiche del caso, e redatta con sfoggio di grafici e di tabelle che possono entusiasmare un ex docente di statistica come lo scrivente, ma che non è il caso di commentare analiticamente qui. Ci limitiamo dunque a riferire che i due autori partono dall'assioma della sicurezza e dall'assioma delle tradizioni culturali. Quanto al primo assioma, non è detto che le società più povere e vulnerabili siano le più propense a cercare sicurezza esistenziale nelle religioni; lo dimostra l'attuale rifiorire religioso negli Stati Uniti. Le tradizioni culturali, invece, hanno una persistenza insospettata e informano le convinzioni valoriali delle persone di ogni cultura, anche quelle che non mettono piede in una chiesa, in un tempio o in una moschea. La conclusione è che, se da un lato con la crescita dei livelli di sicurezza esistenziale la popolazione di quasi tutte le società industriali negli ultimi cinquant'anni si è spostata verso orientamenti più secolari, tuttavia, «a causa delle diverse tendenze della demografia dei Paesi ricchi e poveri, il mondo in complesso oggi conta più persone con una religiosità tradizionale che mai prima, e si tratta di una quota crescente della popolazione mondiale». Sembra dunque lecito un certo ottimismo, anche se la sfida che la secolarizzazione lancia all'evangelizzazione resta molto impegnativa. Ne aveva parlato Benedetto XVI l'8 marzo 2008 ai partecipanti dell'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della cultura, rispondendo al saluto dell'allora neo-presidente, monsignor Gianfranco Ravasi: «La secolarizzazione " aveva detto il Papa " non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall'interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell'immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c'è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale». Sull'argomento, proprio oggi incomincia presso il Castello di Urio nel comasco un incontro di studio per sacerdoti intitolato «Pastorale della Chiesa & secolarizzazione», che prevede, fra l'altro, una relazione del rettore della Pontificia Università della Santa Croce, Luis Romera, sul tema «Cristianesimo e secolarità», mentre monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare di Milano e preside della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, interverrà su «La pastorale ordinaria e la sfida della secolarizzazione». Attendiamo gli atti del convegno per ottenere nuovi lumi su un argomento e un problema da cui dipende il futuro del cristianesimo anche nella nostra società.
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