mercoledì 2 febbraio 2022
«Il vero poeta, anche se spesso non lo rivela, ha in sé la natura del mago perché è il maestro della parola e delle parole. Mentre gli uomini usano i termini del linguaggio come elementi utili per la comunicazione pratica e non si curano di quello che è nascosto all'interno della loro cifra, il poeta avverte o sa, sia pure inconsciamente, che in loro c'è qualcosa che è strettamente collegato con l'anima della cosa designata. Nell'antichità era articolo di fede che chi conosce il vero nome, conosce, possiede anche la cosa». Lo scrive Carlo Lapucci nel capitolo intitolato Nomina sunt essentia rerum del suo bel libro Poesia e magia (Graphe.it, pp. 204, euro 15,90) con in copertina un inquietante dipinto del preraffaellita Edward Burne-Jones (1833-1898), La seduzione di Merlino. Lapucci, un'autorità negli studi di linguistica e delle tradizioni popolari - basti ricordare il suo Dizionario dei proverbi italiani - ha ragione: ognuno ha esperienza della reticenza con cui un bambino risponde alla domanda: "Come ti chiami?". Ci pensa bene, prima di rispondere, se risponde, perché istintivamente sa che l'adulto, conoscendo il suo nome, si approprierebbe della sua persona. La prima parte del libro è una galleria di svelti ritratti di "maghi poeti", i cui nomi sono noti anche se spesso non si va più in là del nome: da Trofonio a Medea, Cassandra, Ermete Trismegisto, a san Cipriano, Michele Scotto, Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, fino a Paracelso, Cardano, Nostradamus e Cagliostro. Va detto che Lapucci è molto rispettoso quando deve occuparsi di ecclesiastici coinvolti in materie come l'astrologia e la magia. Anche filastrocche infantili come «Ambarabà ciccì coccò» hanno dotte derivazioni latine, e la cantilena «Bim bum ba, / quattro vecchie sul sofà /una fila una taglia / una fa un cappel di paglia / una fa lame d'argento / per tagliar la testa al vento», allude alle Parche o Moire che in qualche rappresentazione sono quattro e non le solite tre, Cloto, Làchesi, Atropo. Allarmante il lato magico di Virgilio, secondo la leggenda che Castel dell'Ovo e la città di Napoli siano stati bilanciati in equilibrio da un uovo collocato da Virgilio in un luogo segreto del castello: se quest'uovo si rompesse, tutto crollerebbe riducendosi in polvere e rovine. Non per caso Dante scelse Virgilio come guida nel viaggio nell'Oltretomba. Il sommo poeta, iscritto all'arte dei medici e degli speziali fiorentini, ben s'intendeva di magia, amico com'era di Cecco d'Ascoli (suo rivale), astrologo e negromante riconosciuto. Gli atti, conservati nell'Archivio Vaticano, di un processo contro Matteo e Galeazzo Visconti per una tentata fattura nei confronti di papa Giovanni XXII, documentano un certo coinvolgimento del magistrum Dante Alegiro di Florencia nella turpe vicenda. Dante, dunque, «era ritenuto capace di fare uno dei più gravi malefici». Anche se così fosse, la nostra ammirazione per la Divina Commedia non ne sarebbe intaccata.
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