venerdì 13 marzo 2015
C'è una voga recente del romanzo contemporaneo, per non parlare del giornalismo, che impressiona e sconcerta, ed è il racconto delle atrocità viste o subite dagli autori e dalle autrici, ma più spesso seguite o ricostruite a distanza, che a volte è grandissima distanza e non solo geografica. Il progetto sembra essere quello di denunciare la cattiveria umana, ma anche, spesso, di questo o quel gruppo, esercito, Paese, confessione, setta, associazione a danno di persone inermi, appartenenti ad altra etnia o gruppo o religione. Il progetto di intervenire nell'"urlo e furore" della Storia al fine di documentarne e condannarne le espressioni più malvagie, in una chiave talora politica, ma molto più spesso generale, quasi metafisica, dovrebbe far tremare i polsi. Il problema del male angoscia giustamente quasi tutti (non i malvagi convinti, quelli che hanno scelto, in piena conoscenza di causa, di stare dalla parte del male o quantomeno di un potere che sanno inevitabile produttore di male) specialmente in un'epoca come la nostra, in cui il male sembra dilagare inarrestabile. Ci sono esempi di questa letteratura piuttosto ributtanti: quando la denuncia del male è un pretesto per eccitare il lettore, o scandalizzarlo, mostrandogli il male in azione. Ce ne sono altri più degni, anche se eccedono nell'insistenza sul male, e ne fanno una nuova retorica. Il romanzo Anima, del libanese, da anni residente nel Quebec, Wajdi Mouawad, (Fazi) è un buon libro scritto da qualcuno che ha certamente, nell'infanzia, visto da vicino cose terribili, ma che vi torna sopra per "farne romanzo" col sospetto di un di più di letteratura, per sorprendere, attrarre. Vuole impressionarci e ci riesce. E questo sembra prendere il sopravvento sull'autenticità del dolore visto o sofferto dai bambini, dall'infanzia da cui si parte. Nelle storie della letteratura latino-americana si legge di una corrente che fu chiamata "tremendismo", per il compiacimento con cui vi si descrivevano orrori sia naturali che sociali. La nostra epoca, con la sua infinita crudeltà a danno soprattutto dei deboli e dei piccoli, stimoli un revival di quella tendenza su cui è bene diffidare, distinguendo il sincero dall'opportunistico e mercantile. Nei casi in cui gli scrittori hanno vissuto o visto ciò che narrano, farlo è delicato e difficile, perché a volte si tratta per loro di un modo di farsi strada in una società diversa, o di una rivendicazione che trascura o denigra la parte avversa e tace le colpe della propria. È comprensibile, ma è compito del critico e del lettore saper distinguere, ed esigere che una verità venga narrata con le indispensabili sincerità, pietas, misura.
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