martedì 5 febbraio 2013
Dunque aveva ragione chi – contro tutto il vasto fronte abortista – sosteneva che le più recenti pillole contraccettive e soprattutto quelle definite d'emergenza (del giorno dopo o dei 5 giorni dopo) sono, perlomeno, anche abortive. La Repubblica e l'Unità (30 gennaio) hanno riferito i danni, anche se il rischio è assai raro, che esse causano alla salute della donna. Secondo l'Unità ci sono state «125 trombosi e 4 decessi», mentre La Repubblica ha precisato, sia pure in caratteri molto piccoli, che il meccanismo di questi “farmaci” «blocca l'azione dell'ipofisi che stimola le ovaie e induce l'ovulazione, rende il muco cervicale impenetrabile agli spermatozoi» e infine «rende l'utero inadatto all'annidamento dell'ovulo». Avrebbe dovuto aggiungere, almeno, «fecondato», vale a dire dell'embrione nella sua primissima fase di zigote, ma l'ammissione è preziosa. Significa che quell'utero «inadatto», dove il nuovo individuo umano non trova una culla in cui adagiarsi, lo espelle provocando così un aborto precocissimo. SE I PRINCÌPI S'INCONTRANOAnche l'Unità fa, questa volta, una riflessione seria e pacata sui «principi non negoziabili» ricordati dal cardinale Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio della Cei. Merito di Domenico Rosati, già presidente delle Acli in anni che sembrano lontani, il quale rammenta che lo stesso Bagnasco «ha ricordato come vi sia un collegamento tra i principi non negoziabili che egli enuncia» e il «catalogo di “principi fondamentali”» della Costituzione della Repubblica, «che la Corte Costituzionale ha ritenuto immodificabili». Queste due serie di principi in buona parte si sovrappongono cosicché, se si rifiuta «l'individualismo “madre di tutte le crisi”», è possibile – conclude Rosati – trovare una «“via politica”» per evitare non soltanto i pregiudizi e gli scontri, ma anche per impedire «la liquefazione dei significati» e ragionare e costruire insieme il bene comune.GENERARE O FABBRICARE?L'episodio ricordato qui sopra offre l'occasione per registrare anche un intervento di Marco Politi che, su Il Fatto Quotidiano (domenica 13 gennaio) riflette seriamente, sia pure con qualche punta polemica con la Chiesa («il Parlamento dovrebbe fare leggi liberandosi dalla prepotente azione lobbistica dell'istituzione ecclesiastica»), sul dilemma: «Figli, generare o fabbricare?». Lo fa a proposito dei figli desiderati dalle coppie gay maschili e/o femminili, che debbono ricorrere o a un utero in affitto o a una fecondazione eterologa. Figli, in altre parole, fabbricati assai più che generati e, in «in un caso e nell'altro, risultato di una produzione che rende il figlio orfano a metà. Tutto questo non è indifferente» né «può essere livellato ideologicamente quasi che una creazione equivalesse all'altra» né, infine, «può essere semplicemente coperto o rimosso dal dato affettivo». Quanto al figlio, Politi si chiede se «è bene che, crescendo, si inserisca nella tensione tra le due polarità maschile e femminile […] oppure bisogna cedere a un astratto livellamento» quale sarebbe il solo «accoppiamento fra le menti» dei due uguali. Forse è la prima volta che su un quotidiano della sinistra radicale si accetta l'idea che i figli corrano il rischio di essere fabbricati oltre quella, connessa ma non nominata, della pretesa di un “diritto” al figlio. Come se fosse una cosa.
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