mercoledì 7 novembre 2012
«L'estate del 1976 può essere vista come uno spartiacque per l'immagine della chimica presso gli italiani. Se prima per almeno vent'anni era stata idolatrata come anima del progresso, dopo Seveso la chimica cadde giù dal piedistallo». Lo afferma Gianni Fochi nel suo bel libro La chimica fa bene (Giunti, pp. 202, euro 14), appassionata e appassionante perorazione per una valutazione equilibrata della chimica, né angelo né demonio. Già, Seveso. Alle 12,37 di sabato 10 luglio 1976 l'impianto dell'Icmesa riversò sul territorio di Seveso alcune tonnellate di sostanze nocive, tra cui alcuni chili di un composto dal nome divenuto tristemente famoso: la diossina. Sappiamo quel che accadde: spavento, gente in fuga dalle proprie case, allarme per le malattie. Un gruppo di epidemiologi milanesi, nel 2009 accertò che su un totale di 154 malati, per solo una dozzina di essi si potrebbe forse incolpare la diossina: e il forse è d'obbligo perché con un così ridotto numero di casi, la statistica non consente di distinguere con sicurezza le cause dagli effetti. Vittime accertate, però, furono la trentina di bambini in gestazione che furono abortiti per il timore (poi rivelatosi infondato) di malformazioni genetiche. Va aggiunta un'altra vittima: quattro anni dopo l'incidente, un dirigente dell'Icmesa, il chimico Paolo Paoletti, fu assassinato da terroristi di Prima Linea. Di questo e molto d'altro parla Fochi, con rigore scientifico ed efficace divulgazione. Non si tratta di innocentare la chimica, ma di tener presente che anche a Seveso la responsabilità non è stata della chimica, della diossina, bensì dalla cattiva e prolungata amministrazione dell'impianto perché, afferma Fochi in generale, se ci sono colpe da ammettere, «si riassumono in poche e semplici parole: trascuratezza e cattiva gestione». Nella prima parte del volume, l'autore si rivolge soprattutto ai giovani per mostrare la bellezza e l'utilità di una scienza che, con ampio ricorso alla storia, ha migliorato le condizioni di vita dell'umanità. Nella seconda parte, non senza vivace sarcasmo, Fochi se la prende con la moda ecologista, ambientalista e del bio, non senza efficaci esemplificazioni. A proposito di pesticidi: «Le piante non protette dall'uomo coi pesticidi di sintesi, spesso si difendono dai parassiti sintetizzando esse stesse i pesticidi naturali, non di rado assai più pericolosi di quelli artificiali». Quanto alle decantate energie "pulite", ecco una saggia informazione: «Che la corsa della lanciatissima locomotiva cinese sia stata alimentata (e lo sia tuttora) da una scarsissima sensibilità ecologica, lo sanno tutti. Non tutti però sanno che una fetta assai larga dei pannelli solari venduti nel mondo, amati dagli ambientalisti ben oltre la loro vera utilità, sono fatti appunto in Cina senza tanti riguardi per l'ambiente». Nella terza parte vengono presentati demeriti e vantaggi della chimica, smascherando slogan e partigianerie di segno opposto. Un libro utile e anche divertente, oltretutto assai ben scritto. Del resto, Gianni Fochi, chimico della Normale di Pisa, docente universitario anche al Politecnico di Zurigo, collaboratore dei programmi scientifici della Rai e autore di altri libri di successo, è figlio di Franco, il celebre e compianto linguista. Peraltro, non sono sicuro che il babbo avrebbe approvato quella "macchina da scrivere" di p. 33 (Adriano Olivetti e la grammatica concordano sulla "macchina per scrivere"), e neppure quell'"ai pneumatici") di p. 54 (meglio "agli", anche se un po' pedante).
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