giovedì 20 aprile 2017
Nel realizzare una immagine ci sono due fondamentali approcci. Uno è attento alla somiglianza a un'idea o modello. L'altro è concentrato sul farsi della scrittura e non sull'ipotesi di un completamento della forma. In apparenza il primo è quello logico e di certo è il più comunemente cercato e compreso. Invece diventa lo schermo oltre al quale non si riesce ad andare. Un paravento che nasconde per sempre l'essenza del fare arte. Tutto questo ha direttamente a che fare col senso. Con l'essere. Con tutte le categorie cognitive. Su questo crinale si gioca anche la facoltà di controllo di alcuni sulla stragrande maggioranza degli altri. Centrare la riflessione sul modello piuttosto che sul processo limita la possibilità della sorpresa, in altre parole l'eccessiva invadenza della identità. La mirabile sottigliezza sta nel proporre un processo cosiddetto creativo, massimizzazione di libertà nel pensiero comune, e somministrare il metodo di una gabbia che insieme alla rigidità formale inocula la progressiva atrofia della peculiare originalità che è potenzialità di ogni singolo uomo. Come ho più volte scritto, io sono totalmente autodidatta, irriducibilmente renitente a ogni cristallizzazione del metodo, che coincide con la morte stessa del processo vitale.
Farò comunque un paragone che chi frequenta accademie di ogni ordine e grado, da Brera all'ultimo corso di disegno per bricolage-dipendenti, può verificare. Pensate a un corso di disegno dal vero. Dichiarato o meno, il modello è la scatola forma che deve essere imitata. Il fine è la rappresentazione della somiglianza col modello, o per i più evoluti (solo in apparenza), con tutti i livelli di destrutturazione e ricomposizione prevedibili nella relazione col modello. Anch'essi modello di ennesimo grado di elaborazione, ma sempre scatole forma da imitare. Si crea una rete di attese in chi esegue e in chi guarda, che non hanno nulla a che fare col processo intimo del fare forma, o dare forma, ma con la tentata adesione a una crosta formale che è l'apparenza che ci si aspetta. O che gli altri si aspettano.
La presenza di quella "identità modello" dovrebbe invece essere esclusivamente catalizzatore dello svolgersi dell'identità di ognuno attraverso la sua ri-scrittura. Qui si rivela un forte legame con la tematica del simbolo. La valenza simbolica deriva esclusivamente dalla vitalità della scrittura che il modello può scatenare, ma non imbrigliare.
Il simbolo, e tutta l'arte autentica è per natura simbolica, affonda le radici della sua essenza proprio nella struttura stessa del processo di scrittura, necessariamente identitario. La natura didascalica di adesione a un modello, dal lato opposto, ne decreta l'inconsistenza, direi l'inesistenza. Sotto questo profilo, il problema dell'arte si sposta considerevolmente dalla giostra delle "nuove soluzioni" che sono più o meno come le arachidi per le scimmiette allo zoo, e interroga costantemente ogni possibile modalità del segno, della forma, del linguaggio. La sua forza è il dipanarsi del fare forma, elaborato, viscerale e vitale come la crisalide che esce dal suo stato, e in qualche modo sembra negare una parte di sé per dar spazio al processo, unico elemento che ne decreta realmente la vitalità.
Non so se questa percezione sia possibile impararla. Non credo. Certo è che il fraintendimento su quale sia la natura del simbolo ha a che fare col problema stesso dell'identità. Doloroso, diretto come la potatura di albero, necessita di un grado di libertà e di non attaccamento alle piccole rassicurazioni così potenti del consenso proprio e altrui. Il percorso del simbolo è identitario e solitario, per sua natura. E imprendibile. Sì. Il simbolo è imprendibile e irrealizzabile. Ed è una fortuna. Ecco perché l'adesione al "modello forma" è metodo sbagliato in partenza. Perché tenta la cristallizzazione della "forma simbolo" che non è realmente concepibile. E invece il percorso-processo, lo svolgersi della scrittura che non è trama o descrizione, ma essenza stessa della natura della crisalide che mai diventa farfalla, coincide perfettamente con l'unica parte della forma simbolo cui possiamo accedere: il suo stesso farsi.
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