sabato 29 agosto 2009
Il ritorno in città, al proprio lavoro nel paese che abitiamo, ripropone quell'affanno che avevamo dimenticato o messo da parte nei giorni delle vacanze: quanto sia difficile riprendere a contare il denaro di cui si dispone con il soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. Viene in mente un pensiero di una intensa raccolta di Anthony de Mello dal titolo«La preghiera della rana» dove si racconta che un tale a Las Vegas si avvicina a un signore dall'aria facoltosa e gli dice: «Non avrebbe venticinque dollari da darmi, signore? Sono due giorni che non mangio e non ho posto deve andare a dormire». «Come faccio a essere sicuro che il denaro non lo userai per giocare d'azzardo?» «Non c'è problema» replica l'uomo. «Il denaro per il gioco ce l'ho già». Questo strano fenomeno che si ripete ogni settimana, ogni giorno quando si vedono file di gente acquistare quei pezzetti di carta ai quali affidano un immaginario futuro ci fa pensare che niente riesce più a farli ragionare su quanto hanno già speso in tanti anni di gioco. È lo stesso destino dell'avaro che nasconde il proprio oro in un buco profondo e ogni tanto va a vederlo, finché un giorno scopre di essere stato derubato e urla di dolore. Un vicino gli chiede se lo aveva mai usato quell'oro ed egli risponde che si limitava a venire sul posto ogni settimana a guardarlo. Allora gli consiglia l'amico: «Niente cambierà se continuerai a venire qui a guardare il buco». Seguiamo per settimane e a volte per mesi, anche se personalmente non ne siamo coinvolti, l'uscita di un numero fortunato di quell'avventura che è diventata un affare nazionale, e finalmente quando si arriva a sapere di una vincita favolosa si abbandona l'ignoto vincitore al suo silenzio e alla sua solitudine. È una vincita crudele. Il fortunato non può gridare di felicità, né spendere il suo denaro pubblicamente, né cambiare vita come aveva tanto desiderato per non farsi scoprire e quindi pagare le tasse che lo priverebbero di una gran parte del denaro. In realtà la sua vittoria è molto simile al destino di quell'avaro che deve limitarsi a guardare nel buco vuoto. Con il tempo molte cose per lui cambieranno, ma a quale prezzo? Forse perderà i vecchi amici perché cambierà abitudini di vita. Forse abbandonerà il lavoro e troverà chi gli consiglierà «affari» cui non era abituato e, con il timore di essere scoperto acquistando un benessere non opera di guadagno, si troverà a vivere in un mondo che non riconoscerà più suo. Giocare non è un vizio, ma una sfortuna che ti lega e della quale non puoi più liberarti. Lo strano è che vieni spinto a entrare in questo giro senza fine dallo stesso Stato che guadagna su quelle piccole, ma costanti perdite di pochi euro che il popolo più debole gli regala con animo tranquillo senza pensare che è una tassa sulla speranza. Il «panem et circenses» dei Romani è ancora formula vincente per tenere sottomessi i popoli, per non farli pensare che alla propria piccola vita, divisa tra la partita di calcio e la schedina, senza entrare nella realtà di un mondo che pare sempre meno abbia bisogno di una nostra opinione personale o di un impegno, per piccolo che sia, in quel suo progresso dove si incontrano incertezze e crudeltà senza fine. Proviamo per una volta a dimenticare di giocare la schedina, forse avremo più tempo per pensare.
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