venerdì 17 ottobre 2014
Escono troppi libri, la cui utilità sembra essere spesso solo quella di aiutare chi li scrive a non sentirsi del tutto inutili. Ovviamente si illudono, ci illudiamo. Si direbbe che tutti coloro che hanno preso bene o male una laurea reagiscano alle infinite frustrazioni che il mondo contemporaneo provoca in noi: la sensazione, che è molto di più di una sensazione, di contare poco o niente all'interno della società in cui viviamo. A essa si unisce l'inganno dei media (il mito del successo) e l'affannata ricerca di una consolazione sussidiaria, di affermarsi scrivendo, pubblicando. E succede come per i poeti: migliaia scrivono poesie, ma sono pochissimi a leggere poesie. Ci sono molte altre cose che rientrano in questa tipologia, recitare e far film eccetera, che partono dalle stesse frustrazioni, nelle quali ha il suo peso anche l'insicurezza economica, l'impossibilità di radicarsi in una professione (figuriamoci in una vocazione). Siamo dunque sommersi da un'infinità di parole, immagini, suoni inutili, o quanto meno superflui... e tanti tra questi libri, in questo caso ignobili, speculano sulla drammaticità degli argomenti. L'industria culturale, i media, bruciano rapidamente tutto, ogni esperienza, ogni approfondimento, ogni dolore. Tra i pochi libri che ancora danno la sensazione di servire a qualcosa ci sono quelli di chi ha da raccontare un'esperienza solida o che ha molto studiato e cerca di comunicare quel che ha appreso in rapporto a un contesto preciso, a un pubblico preciso. Penso alla letteratura che più mi incuriosisce, quella che riguarda infanzia, adolescenza, gioventù, campi privilegiati della manipolazione, ma anche dell'educazione. Qui i libri notevoli sono quelli che nascono da esperienze forti di vita, da competenze professionali profonde. Ne ho sottomano alcuni: il bel romanzo di Marco Franzoso sull'esperienza dei "ragazzi padri" (Gli invincibili, Einaudi) e il bel saggio di Simona Argentieri sullo stesso tema (Il padre materno, Einaudi) , il saggio di Manuela Trinci e Paolo Sarti su La fatica di crescere qui e oggi (Feltrinelli) di cui gli autori mi han fatto scrivere una prefazione approssimativa ma entusiasta, e Il bambino che parlava alla luce, quattro storie di autismo di Maurizio Arduino (Einaudi), che mi hanno appassionato e richiamato alla mente il lavoro di uno degli educatori che ho più amato, Fernand Deligny, Una zattera sui monti (edizioni L'erba voglio di molti anni fa). Ah se solo qualche politico fosse all'altezza di questi educatori!
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