sabato 24 ottobre 2009
Impazza da giorni il tema della scuola di religione. Ieri per esempio su "La Stampa" (pp. 1 e 37: «Se a scuola ci fosse l'ora pagana») esemplare il bel soliloquio di Ceronetti che non porta da nessuna parte. Il revival nasce da sortite di politici di entrambi i poli come Urso e D'Alema: alla crescita della presenza di alunni islamici risponda la cattedra di religione islamica. Che dire? Non sarà demagogia strumentale, ma certo è pesante malinteso. L'insegnamento della religione cristiana e cattolica nelle scuole italiane non si deve alla percentuale di presenze confessionali in aula, ma all'intreccio onnicomprensivo che quella religione ha avuto ed ha, in 2000 anni di storia, con tutta " tutta! " la cultura italiana. Nella realtà concreta, dal momento che la scelta dei docenti è, per materia concordataria da sempre incontestata e incontestabile, affidata al giudizio della Chiesa, che prepara e autorizza i docenti a questo insegnamento, la legge ha provveduto da sempre ad aggiungere all'«obbligatorietà» della presenza della materia nelle scuole la «facoltatività» della frequenza, scelta dalle famiglie o dagli alunni stessi. Tutto questo, in sostanza, conferma che certe proposte, recenti e spesso ricorrenti a seconda delle stagioni della strumentalità politica sono scatole vuote e producono solo malintesi. Primo quello pesante giustamente individuato da Ubaldo Casotto ieri ("Riformista", p. 1), per cui si è parlato persino di «divisioni tra Bagnasco e il Papa» perché il presidente Cei ha ribadito lo statuto culturale, e non catechistico, della presenza della religione nelle scuole. Per favore: fate luce!
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