martedì 21 maggio 2013
Su"Repubblica" (17/3, p. 43) annuncio trionfale di Jan Tattersal. «Homo symbolicus. Ecco il momento esatto in cui siamo diventati uomini». Il giorno dopo, stesso tema, un po' meno entusiasta anche "Unità" (p. 19). Notizia strepitosa: la scienza moderna applicata a tutti gli aspetti della vita, la ricerca instancabile inaugurata dai Lumi laici che ha seppellito l'oscurantismo delle religioni, e in specie della religione ebraico cristiana, rivela «il momento esatto in cui siamo diventati uomini»: la scoperta del linguaggio. «Solo noi esseri umani disassembliamo mentalmente il mondo in un vocabolario sterminato di simboli mentali», cioè qualcosa tra il concetto (dentro) e la parola (fuori), tra sensazione-intelligenza e pensiero espresso. Lo dimostra – leggo – il «famoso motivo geometrico inciso 75mila anni fa su una placca di ocra levigata nella grotta di Blombos, sulla costa meridionale dell'Africa». Così avanti a lungo, ma sia chiaro: «Non c'è niente di sorprendente… Non ci sono dubbi che quello che ci differenzia più di ogni altra cosa dai Neanderthal e da tutti gli altri nostri parenti estinti è il pensiero simbolico che spiega perché noi siamo qui e loro no… Noi esseri umani non siamo le creature che siamo grazie ad una selezione naturale protrattasi per ere intere». Tutto chiaro, ma con questa conclusione: «La nostra psiche è notoriamente impenetrabile». È "la" scienza: siamo proprio come siamo, ma in fin dei conti non ci capiamo. E proprio lì sotto un po' di fantascienza: ampio spazio alle fantasie di Dan Brown! Che dire? Domenica, Pentecoste, lettura dagli Atti degli Apostoli (2, 1-11): «Fuori di sé dalla meraviglia… ciascuno di noi li sente parlare nella propria lingua nativa…». Solo sfortunata coincidenza? Era venerdì 17.
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