venerdì 21 maggio 2004
Rabbí Moshe di Kosnitz diceva: «Sta scritto nel libro dell'Esodo: Olio d'oliva, puro, di frantoio, per far luce (27, 20). Bisogna essere schiacciati e infranti, ma non per giacere per terra, bensì per far luce!». Ecco una piccola perla della tradizione dei Chassidim, gli ebrei mitteleuropei noti per la loro spiritualità gioiosa, i cui testi - sorti a partire dal Settecento - sono stati raccolti dal filosofo ebreo Martin Buber (1878-1965). La riflessione prende spunto da una norma liturgica del libro dell'Esodo, destinata a fissare la qualità dell'olio della lampada del candelabro da tener acceso davanti al velo che celava l'arca dell'alleanza nel santuario di Israele. Per avere olio puro è necessario che le olive vengano stritolate e spremute nel frantoio. Rabbí Moshe conclude: così deve avvenire anche per il giusto. Egli è sottoposto ad aspre prove nella vita, è spesso isolato ed emarginato, schiacciato sotto il peso delle sofferenze e della povertà. Ma è proprio attraverso questa "triturazione" interiore che brilla la purezza, la fortezza, l'intensità della sua testimonianza di luce. Certo, quando si è "schiacciati e infranti", si può correre il rischio di "giacere per terra", nello scoraggiamento e persino nella disperazione. M a il fedele si aggrappa alla fiducia e sa che il suo dolore - come ha insegnato Cristo - può essere fecondo e illuminante, proprio secondo la legge della maternità e delle sue doglie ( Giovanni 16, 21). Kafka, un altro ebreo mitteleuropeo, giungeva al punto di scrivere: «La sofferenza è l'elemento positivo di questo mondo, è anzi l'unico legame tra questo mondo e il positivo».
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