martedì 13 novembre 2012
Niccolò Castiglioni (1932-1996), compositore atipico, è stato diversamente e assolutamente (l'abusato avverbio per una volta è preciso) protagonista della musica nel nostro tempo. Diverso lo era anche nel modo di essere e di presentarsi: «a falcate ampie» lo ricorda Paolo Castaldi, altro musicista originale, «asimmetriche, autorevolmente distaccate, "parlando" l'aria con le grandi mani sempre vuote (noi tutti arrivavamo in conservatorio con le cartellone grosse riempite di carte… cose da far vedere, fare, proporre: lui sempre senza niente, tranne una matita in tasca)». Aveva indifferenza per la sua carriera mondana. Quando poteva, fuggiva da Milano e andava a Bressanone, in Alto Adige, dove negli anni Ottanta aveva acquistato un appartamento. Una casa monacale, che, riprendendo un vecchio adagio popolare, descriveva così: «Casa mia casa mia / per piccina che tu sia / tu mi sembri un'abbazia». Somigliava, forse, alle "umili dimore" che ricorrono nelle sue opere: alla capanna d'eremita del Morgante di Pulci, che gli ispirò Sinfonietta, o al «tetto umil» di un brano vocale di Haydn, citato nel Canto ritrovato. Aveva scelto l'inverno, la neve, da cui traeva, poeta della natura, fuoco. Agli amici scriveva proverbialmente: «Sotto la neve pane». Era convinto che la neve, fredda e pura, potesse preservare quel che di buono c'è nel mondo.
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