giovedì 25 agosto 2016
Rocchino era un capostazione. Quando al mattino, con la paletta dava il via liberaal nostro treno, noi ragazzi guardavamo con ammirazione la sua evidente prestanza fisica. Lo rincontrai dopo anni. Non era cambiato e ostentava, camminando, un torace da parata militare. Era in realtà tenerissimo e grande mangiatore. Gli dicevo che era il più caro immigrato che fosse giunto nella nostra cittadina. A volte, durante l'ora della cena, quando il paese diventava semideserto, ne compivamoa piedi, insieme, il periplo con un certo orgoglio. Da pensionato, con un altro paio di amici, aveva avviato un laboratorio pomeridiano per tenere impegnati i disabili, procurando loro anche piccole somme di guadagno. Incontrare Rocchino non era difficile, bastava fare la posta nei pressi della chiesa prepositurale, dove si recava quotidianamente per il rosario e la messa vespertina. Arrivato al Nord dalla Puglia aveva imparato perfettamente il dialetto lombardo, che parlava con affettuoso compiacimento. Invecchiando, si sa, il corpo un po' rimpicciolisce. Così Rocchino si ritrovò con un bel paio di scarpe invernali, numero 45, per lui abbondante. Le porto ancora oggi, con gratitudine e non senza un amicale affetto. Seduto al bar, indicando le due scarpe nere, racconto volentieri la storia di lui.
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