venerdì 11 giugno 2004
Si potrebbero classificare le attività umane secondo il numero di parole di cui hanno bisogno: più gliene occorrono e più c'è da pensar male del loro carattere. Nitido e tagliente è questo giudizio che anni fa avevo annotato sull'edizione einaudiana di quel capolavoro incompiuto che è L'uomo senza qualità dello scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942). Spesso c'imbattiamo in persone aureolate da un alone di parole e proprio attraverso questo fumo dorato riescono a nascondere il vuoto che sta nel loro pensiero e nel loro agire. Qualche giorno fa avevo citato il libro Piccoli passi verso l'uomo del sacerdote e scrittore Alessandro Pronzato. Dato che m'è rimasto sulla scrivania, ritrovo in una sua pagina questo ritratto. «Ci sono tipi che esordiscono: Sarò breve" Tu guardi smarrito la trentina di fogli che tengono in mano. Non te ne risparmiano neppure uno. Non una virgola. Non una parola. Bisognerebbe, a un certo punto, alzarsi tutti in piedi e dire a uno di questi chiacchieroni incontinenti: Quando hai finito, ricordati di spegnere la luce». Lo sproloquio è il vizio della comunicazione del nostro tempo che, da un lato, ha adottato un linguaggio semplificato e fatto di slogan e, dall'altro, ha imboccato la via del talk show, e non dimentichiamo che talk in inglese è "chiacchierare". Ritroviamo, allora, sobrietà e sostanza nel nostro parlare. Il monito di Cristo è lapidario: «Sia il vostro parlare: sì, sì; no, no. Il di più viene dal maligno" Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matteo 5, 37; 7, 21).
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