sabato 21 marzo 2020
Giovedì scorso era la festa di San Giuseppe, il giorno della mia nascita. Ricevetti una piccola torta con le candeline del numero dei miei anni, che essendo numerosi,
richiesero del tempo aa essere spente. Pensai: Giuseppe un santo buono, modesto e certamente gentile, ma anche coraggioso, forte e sicuro nell’affrontare le intemperie del tempo, nel fare la guardia a Maria e a quello strano Bambino che il destino gli aveva messo tra le braccia. Nel guardare la via sull’atlante ci si chiede come avrà fatto il
povero falegname, costretto a fuggire e ad attraversare il deserto dalla Palestina all’Egitto con la scorta di un povero asinello come ce lo raccontano le antiche storie. Doveva salvare la vita di Maria e del Bambino. Nelle notti del deserto quando scendeva il freddo egli doveva ripararli. E dove potevano fermarsi a bere e cosa mangiare lungo la strada? Tutto rinchiuso nell’animo di chi crede. Gli uomini di allora erano più forti di quelli di oggi e certo nessuno pensò di lasciare scritte le difficoltà e i tempi di tale viaggio. La storia annota e cancella, la mente immagina, la memoria dimentica. Quando ero bambina le mie amiche avevano tutte un santo o una santa a cui rivolgersi se avevano problemi, io invece avevo sulla parete della mia camera un Giuseppe con la barba quasi bianca e un giglio in mano. Non mi piaceva e un giorno disegnai con i pastelli due papaveri accanto ai gigli e colorai la barba con la matita marrone. Naturalmente venni sgridata, ma
lui mi sembrava contento. Ora ho finalmente una
riproduzione di San Giuseppe in legno scuro col bambino in braccio, cosa assai rara, essendo la sua figura sempre in secondo piano quasi incompresa nelle sue ragioni di avere accompagnato la vita di Maria: un innamorato che non chiede niente se non di essere presente col suo lavoro e il suo modo di proteggere quel Bambino non suo. La sua presenza silenziosa ma necessaria, la sua capacità
di
sfuggire alle milizie dell’epoca e il coraggio di tenere nell’animo il turbamento di un segreto immenso, richiederebbero, secondo le nostre vie intellettuali, la
figura di un uomo di pensiero e non di un modesto lavoratore. Così come a volte siamo distratti dalle forme di lavoro dei nostri simili senza ascoltare le sensibilità dell’animo di gente che chiamiamo “semplice” perché priva di studio, noi che dividiamo il mondo in classi. Pensando alla semplicità di Maria di Nazaret
ascoltavo un giorno dei giovani cantare: “Io vorrei tanto parlare con te di quel figlio che amavi: io vorrei tanto ascoltare da te quello che pensavi di questo figlio che non aspettavi, che non era per te. Io vorrei tanto sapere da te quando era bambino cosa sarebbe successo di lui e quante volte anche tu di nascosto piangevi, Madre. E anche oggi per ogni figlio dell’uomo che muore, ti prego, Maria”. Sono queste le parole del coro di Enna che attraverso internet innalza oggì questa preghiera.
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