giovedì 23 maggio 2013
«La testa del profeta su un vassoio d'argento».I commensali alzano i bicchieri, qualcuno dice: «Però, la ragazza!». Erode posa lentamente la schiena sui cuscini. Vinto. Per qualche istante sembra non vedere più nulla davanti a sé. Poi fa un cenno alla guardia che ha sempre di fianco, un nero alto e armato. Erodiade nell'altra stanza sta godendo e soffrendo la sua vittoria e la sconfitta nello stesso momento. La ragazza le ruberà la bramosia del suo uomo e padrone ma le porterà la testa del profeta. Nessuno oserà più contestare il suo posto. Con l'ultimo fiato Giovanni ha mormorato: «Mio Dio» poi la spada, affilata, pesante si è ficcata nella pelle dura e bruna del collo, una ferita rosso vivo. Come nella gola di un toro o di un capro. Il suono sordo e breve dell'osso schiantato e il gorgoglio violento sono stati gli unici rumori nella cella, con la minima invocazione fiatata. Il colore di sole riflesso nella resina delle sue pupille è rientrato nello sguardo. Le orbite hanno perso il loro centro. La testa è caduta nella cesta pronta. Il corpo s'è dibattuto per qualche secondo. Il petto ha strascicato per terra, e le gambe, mentre le braccia, legate dietro la schiena, hanno scalciato a vuoto. L'odore del sangue è intenso. Buttano stracci e sabbia. Il boia dice: «Portala su».
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