mercoledì 10 luglio 2013
Come sono strani i poeti. Vedono un bel tramonto e si sentono in dovere di raccontarcelo; hanno una delusione d'amore e ce la devono confidare. Il primo moto del lettore sarebbe: e chi se ne importa?Invece importa, perché il poeta, se davvero è tale, è colui che sa conferire alla propria esperienza personale una valenza di universalità in cui ciascuno può (potrebbe, dovrebbe) riconoscersi. Ma non è solo un delegato di idee e sentimenti (tendenzialmente) universali, è un esponente del linguaggio. Il poeta, essenzialmente, veicola parole: sentimenti, idee, sono incapsulati nelle parole e toccherà al lettore giungere al nocciolo (al cuore) delle parole.Ottavio Rossani, per esempio, in Riti di seduzione (Nomos Edizioni, pp. 112, euro 14), a pagina 39 scrive: «Fulminanti i colori dell'acqua / – giade, turchesi, topazi, smeraldi – / dopo il viaggio nel sogno restituiscono / alla rituale festa di dolori». Che significa? Perché il poeta ce lo viene a dire?L'immagine è perfetta: i colori dell'acqua (probabilmente del mare) investiti dalla luce, dardeggiano come pietre preziose, fenomeno ottico che colpisce non tanto la retina di chi guarda, quanto la sua fantasia, il suo ricordo, il «sogno». Ma (quasi subito) «dopo» il poeta (il lettore) è restituito alla quotidianità dolente abituale. Perché questi versi ci colpiscono? Innanzitutto perché impongono un ritmo, che è poi il ritmo dell'endecasillabo. Il primo verso («Fulminanti i colori dell'acqua») è infatti un endecasillabo (con dialefe); l'enumerazione delle pietre preziose è un endecasillabo perfetto (resiste anche cambiando l'ordine delle parole, ma la sequenza in crescendo è esclusiva); seguono un settenario e un quinario («restituiscono», con dialefe) che sono le componenti metriche dell'endecasillabo e, in chiusura, un altro endecasillabo. Quella strofa apparentemente così semplice, in realtà è innervata da una solida struttura linguistica che probabilmente al poeta è sgorgata spontanea (le sillabe si contano dopo), ma è ciò che rende memorabile la sequenza delle parole con il loro carico di significato.Per questo i «riti di seduzione» che compongono il titolo non hanno niente di erotico, sono riti di seduzione linguistica, cioè poesia.Alla prima sezione del volume, in cui, come scrive Maurizio Cucchi nella prefazione, «prevale un andamento di più largo fiato, con frequenti escursioni in una certa regolarità strofica», seguono ventotto «Cartoline», frammenti di memoria, configurazioni mentali proiettate su fondali pittorici. E il «tu» amoroso è ricordo che solo a tratti si fa presenza.La terza sezione, «Finestre aperte», è, a mio avviso, la più originale, una sorta di «Flashes e dediche», per dirla con Montale. Qui la circostanza è nettamente individuata in affioramenti di schegge di anamnesi della prima età, e la composizione di luogo è la marina di Calabria, con i suoi colori e i suoi odori, protetta dai boschi della Sila. Ben oltre il bozzetto, il frammento è consegnato ancora caldo di sole, e quelle giornate di felicità non erano soltanto immaginate: «A sera il sonno che leniva la stanchezza / ci assicurava che era stato tutto vero».Ottavio Rossani, per quasi quarant'anni giornalista del Corriere della sera, ne cura il blog «Poesia» (poesia.corriere.it) ed è anche pittore e regista teatrale. Questo è il suo settimo libro di poesie. Per il congedo, scelgo un'ultima, promettente «Cartolina»: «Andrò molto lontano / Lungo il tragitto troverò / qualche buon compagno. / Anche da solo tuttavia / arriverò. Arriverò».
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