martedì 7 marzo 2017
Ho incontrato Luciano Spalletti al suo ritorno dalla campagna di Russia. L'ho trovato più aperto, gioviale, scafato, meno integralista, anzi propenso al gossip, alla leggerezza, e cosí “nuovo” l'ho rivisto, di lí a poco, sulla panchina della Roma che aveva perduto per una congiura di Trigoria, chi dice Totti come Bruto, chi De Rossi, o entrambi. Ha esibito subito una concretezza lontana dalle vecchie contorsioni psicologiche che s'era portato dietro dal Friuli, mostrandosi finalmente più certaldese - come meritava - senza eccedere in atti boccacceschi e tuttavia esibendo ironia e strafottenza insieme, come quando affrontò a muso duro il persistente equivoco di Totti. Ma non è durato molto, il cambiamento, presto sovrastato da qualche malumore toscano proprio nei giorni in cui Roma pareva diventata provincia di Firenze. La squadra affidatagli dagli affaristi americani cresceva senza tuttavia darsi un carattere preciso, almeno fino a quando gli errori di un altro narciso toscano, Maurizio Sarri, frenarono il Napoli e regalarono alla Roma il ruolo di Prima Sfidante della Juventus. Eppure, quante facce cambiava, la Maggica, sempre assumendo, però, quella di occasionali protagonisti, o grandi assenti, come i Salah spediti in Africa a inutili e faticose dispute televisive. Fino a trascorrere dalla fisionomia accattivante di Alessandro Florenzi, molto Libro Cuore, intima romanità, nonna e stornelli per una pièce di Garinei e Giovannini, a quella esplosiva di Radja Nainggolan, il Ninja, finalmente forza vitale, esplosiva, di una squadra spesso fin troppo riflessiva e lenta. Sul più bello gli incontri di Spalletti con i media son diventati rebus, sembrava di perdersi nelle trame oscure dei dibattiti politici, e subito chi tentava - per dovere - di tradurlo lo diceva ora sul punto di partire verso l'ignoto, magari il solito anno sabbatico dei ricchi incerti; o verso la Juve presto presunta vedova di un altro toscano, Allegri, meno contorto e più vincente; o persecutore/vittima del sempre più splendente Francesco sanremese; o semplicemente avviato a difendere un ruolo già occupato, e comunque consolatorio, di eterno secondo. Nel bel mezzo dei suoi siparietti televisivi a occhi spalancati per manifestare polemico stupore, quella sortita combinata in paytivù per “famolostostadio” che pareva un' invocazione al padrone americano , “famolostocontratto”. E sul più bello la vittoria sull'Inter, olè. Finalmente. Ma gli umori sereni non bastano. Non bastano le buone intenzioni. Prima una Lazio allegra e pungente, poi un Napoli settebellezze hanno spento gli eroici furori del Ninja e della sua Roma incompiuta. Battuta in tattica e sentimento per le ritrovate incertezze di Luciano Spalletti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI