venerdì 23 aprile 2021
Mi ha rallegrato sapere che l'amico Giovanni Pacchiano, scrittore di valore, ha pubblicato una nuova traduzione del romanzo di André Malraux sulla guerra di Spagna, L'espoir (La speranza, Bompiani), che ho in passato amato moltissimo, e che scoprii perché con lo stesso titolo e nelle stesse circostanze Malraux diresse un film che continuo a considerare bellissimo. Di Malraux era di moda parlar molto male quando diventò ministro sotto De Gaulle, lui che era stato predicatore di rivoluzione in romanzi celeberrimi negli anni trenta e quaranta come I conquistatori e La condizione umana. Da quest'ultimo, ambientato in un'Asia agitata dai tentativi di rivoluzione poi concretizzatisi nell'azione di Mao, tentò di fare un film Bernardo Bertolucci e riesco a immaginare cosa ne avrebbe fatto, un supercolosso dalle idee non molto chiare. Il capolavoro era per me I conquistatori, quello era il film da fare per la sua analisi – niente affatto lontana, eravamo nel 1938, dalle prime opere grandi opere di Sartre e di Camus... Della Condizione umana furono però (e fummo) attratti in tanti, al punto che un mio coetaneo torinese, figlio di partigiani, si chiamava Kyo, dal nome del protagonista, un rivoluzionario in cui era ben possibile identificarsi leggendo il romanzo,
riconoscendosi in dilemmi ideologici che erano poi quelli di ogni rivoluzione: il ruolo dell'individuo e il ruolo dell'organizzazione, le difficoltà di accordare i fini con i mezzi.... I conquistatori mi attrasse perché raccontava l'azione dei “rivoluzionari di professione” venuti da fuori in Asia a organizzare o controllare i movimenti di rivolta, la rivoluzione: i membri, in definitiva, della Terza Internazionale. Malraux, di formazione individualista e anarcoide, sapeva il valore dell'organizzazione come sapeva quello dell'individuo e delle sue aspirazioni. Amato dalla sinistra fu poi dalla stessa
svillaneggiato quando sostenne il ritorno di De Gaulle (con cui aveva fatto la Resistenza), che fu peraltro l'artefice della pacificazione algerina, e per De Gaulle fu ministro della cultura. La cultura divenne il suo orizzonte privilegiato, la sua “specialità”. E fece interventi egregi, anche se segnati dal culto gollista della grandeur. Un altro motivo per non disprezzare affatto Malraux e per ripensare con simpatia anche alle sue contraddizioni, lo trovo in due grandi personaggi del '900 che ho avuto la fortuna di conoscere, lo scrittore spagnolo antifranchista José Bergamin, che egli
protesse nell'esilio in Francia, e il nostro Nicola Chiaromonte, i cui cultori amano dimenticare che egli fu anche uomo d'azione, e che prese parte alla guerra di Spagna proprio nella squadriglia aerea ideata e animata da Malraux, quella di cui si racconta in La speranza... Malraux merita che lo si rilegga, e lo si discuta alla luce di una storia che è stata molto più contraddittoria e complessa della vulgata comunista all'italiana. È stato e resta uno dei grandi personaggi e dei grandi scrittori dello scorso secolo sul fronte dei più radicali dei conflitti e dei cambiamenti, e ci sarebbe molto da impararne, meno che da Camus e forse da Sartre, ma comunque non poco, anzi tanto.
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