domenica 30 giugno 2019
Ci riposeremo in Paradiso. Da morti. Quante volte abbiamo sentito una frase simile? Sulle labbra appena socchiuse in una sottile smorfia di stoica sofferenza di chi ci fa capire: "Voi fermatevi pure, io non posso permettermelo perché appartengo alla ristretta élite di chi non può"? L'effetto vorrebbe essere colpevolizzante nei confronti di chi ascolta, ed ebbene sì, a volte si concede un po' di riposo e gode nel concederselo, con la sfrontatezza di non provare sensi di colpa né di inferiorità. A volte però il ricattino funziona, e chi si riposa viene attraversato dal dubbio che il suo riposo stia intralciando la causa dell'azienda, dell'idea, della fede. È quella che anche in placidi pensionati rimane, con tenacia inesausta, la sindrome della domenica sera: avrò fatto tutti i compiti? Mi sono forse concesso una pausa troppo lunga? Domani sarò interrogato e punito? Terribile.
Per taluni, appunto, il riposo è male. È pigrizia, svogliatezza, fannullaggine. Ci sono gli stakanovisti immolati sull'altare di un'idea che non concede requie o catturati dal viluppo di tentacoli dell'azienda dove c'è sempre qualcosa da fare. Ci sono anche certi cattolici che nel punire se stessi traggono ineffabile godimento. Costoro non possono né debbono fermarsi. Parlano di "riposo attivo" come se ci fosse un "riposo passivo" o anche, inseguendo la grammatica, un più seducente "riposo riflessivo". Per tutti costoro l'estate incipiente è frutto di enorme imbarazzo, perché non riposarsi mai, ma proprio mai, diventa impresa ardua.
Chi rifiuta ogni forma di riposo rovina la vita a se stesso ma rischia di rovinarla pure agli altri, perché la tentazione di porsi a esempio di perfetta virtù stakanovista è troppo forte. Per costoro, il riposo è l'opposto della produzione e la produzione è il bene supremo. A tutti bisognerebbe ricordare più e più volte sant'Ambrogio: «Si vis omnia bene facere, aliquando ne faceris», se desideri far tutto per bene, ogni tanto smetti di farlo. Avete notato che i detrattori del riposo hanno poca o nulla fantasia? Sarà che distrae, sarà soprattutto che richiede una pausa. Il riposo genera idee originali, non l'attività forsennata. Per meglio poter pensare devi fermarti, e allora il riposo sarà creativo.
O ci stiamo sbagliando? Servirebbe un biblista che spiegasse l'esatto significato di Genesi 2,2: «Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro». Dunque nel settimo giorno Dio lavorò un pochino, perché «portò a termine» quel che non aveva ancora finito? Oppure – come sarebbe bello che fosse – nel settimo giorno proseguì l'opera della creazione creando il riposo? Allora il riposo è cosa buona? Anche prima di essere defunti?
Non basta. Dio compie altre due attività: benedice e consacra il creato. Dunque non soltanto la produzione – di cieli e mari e monti e piante e animali d'ogni sorta – appartiene alla creazione, ma anche attività immateriali come cantare il creato e perfino, lo diciamo sottovoce, consacrarlo. Fermarsi a osservare ciò che è fuori e dentro di noi, porci domande e se possibile darci risposte, soprattutto ascoltare ciò che quando lavoriamo non possiamo ascoltare: gli altri e le loro opere, gli altri e le loro creazioni.
È quanto sarebbe bello riuscire a fare, per alcuni giorni, anche quest'estate. Per chi ancora avesse qualche dubbio e si sentisse un fannullone, valgano queste sagge parole scritte sette anni fa da Ermes Ronchi su Avvenire: il riposo è «un sano atto di umiltà, nella consapevolezza che non siamo noi a salvare il mondo, che le nostre vite sono delicate e fragili, le energie limitate». Sii umile, riposati!
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