mercoledì 28 febbraio 2018
Poco o nulla si sa di Antonino Liberale, probabilmente vissuto durante la dinastia degli Antonini, quindi tra il II e il III secolo d.C., autore di un libro di Metamorfosi, pervenutoci attraverso un manoscritto del IX secolo, conservato nella Biblioteca Universitaria di Heidelberg. Il testo fu riscoperto dal domenicano Giovanni Stojkovic di Ragusa, che negli anni 1435-1437 fu a Costantinopoli come inviato del Concilio di Basilea presso l'imperatore d'Oriente. Dopo varie vicissitudini le Metamorfosi furono stampate nel 1568 da Thomas Guarin, edizione di riferimento per le ristampe successive, fino all'edizione francese di Manolis Papathomopoulos del 1968 (rist. 2002). Proprio a quest'ultima edizione si sono riferiti Tommaso Braccini e Sonia Macrì che hanno tradotto e commentato dal greco Le metamorfosi per conto di Adelphi (e di chi altro, se no?) in un volume di 420 pagine (euro 18,00). Si tratta di un lavoro di erudizione e di precisione filologica che strappa l'applauso: basti pensare che, dopo le 17 pagine di introduzione dei curatori, il testo di Antonino occupa solo 72 pagine, mentre l'apparato di note e commenti si sviluppa in 310 pagine, cioè più di quattro volte il testo. Antonino porge 41 brevi storie mitiche (alcune brevissime), in cui gli dèi compiono gesta poco edificanti (eufemismo), adultèri, stupri, vendette, interferendo nella vita degli umani e distribuendo premi e castighi consistenti nella trasformazione di uomini e donne in uccelli, minutamente descritti con i loro nomi, con caratteristiche a volte positive, a volte di malaugurio. Ne viene, come effetto collaterale, un trattato di ornitologia mitica, sedimentato nell'immaginario collettivo fino ai giorni nostri. Per esempio. Il carpentiere Politecno e sua moglie Aedone, vivevano felici con il figlioletto Iti. Istigati da Era, invidiosa del loro amore, si sfidarono a chi avrebbe portato a termine più rapidamente una portantina (Politecno) o una tela (Aedone). Il vincitore avrebbe ricevuto in premio una schiava dallo sconfitto. Aedone, aiutata da Era, fu più svelta e il marito si arrabbiò moltissimo al punto che, con un pretesto, si fece consegnare dal suocero la sorella minore della moglie, Chelidonide. Politecno abusò della ragazza in un boschetto, le rase i capelli, la vestì da schiava rendendola irriconoscibile e la consegnò alla moglie. A un certo punto, però, le due sorelle si riconobbero e organizzarono la vendetta. Uccisero il piccolo Iti, ne cucinarono le carni e le fecero mangiare a Politecno (il mito di Medea e quello di Tieste hanno molte varianti). L'uomo, quando seppe di aver mangiato le carni del figlio, inseguì la moglie e la cognata fino alla casa del loro padre Pandareo, ma i servi del suocero lo legarono e lo cosparsero di miele lasciandolo in balia di mosche e insetti. Tuttavia Aedone, impietosita per l'amore passato, cercava di difenderlo, ma il padre e il fratello, adirati decisero di ucciderla. A quel punto intervenne Zeus che trasformò tutti in uccelli: «Pandareo divenne un'aquila di mare, la madre di Aedone un alcione; avrebbero subito voluto gettarsi in mare, ma Zeus glielo impedì. L'apparizione di questi uccelli è propizia per i naviganti. Politecno si trasformò in un picchio, e l'apparizione di questo uccello è buona per i carpentieri. Il fratello di Aedone divenne un'upupa, propizia sia per chi navighi sia per chi si trovi a terra. Per quanto riguarda Aedone e Chelidonide, la prima (trasformata in usignolo) piange il figlio Iti per fiumi e macchie, mentre Chelidonide divenne un uccello che vive insieme agli uomini (la rondine) per volere di Artemide, dal momento che quando fu costretta a perdere la verginità, invocò più volte la dea». Come si vede, gli antichi non si risparmiavano dettagli da Grand-Guignol, e del resto la natura umana è quella che è fin dall'inizio dei tempi. È bello pensare che ci sono studiosi come i curatori di questo libro che si applicano a salvare la memoria della civiltà, e svolgono ricerche scientifiche estranee ad applicazioni tecnologiche.
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