sabato 7 febbraio 2015
Tre giorni fa una trentina di articoli per l'iniziativa del Pontificio Consiglio della cultura su Chiesa e culture femminili, ma con ottica quasi a senso unico: tutto pareva ridotto al problema della chirurgia estetica femminile, tra cautele viste subito come accuse – e non lo erano – e difese viste come reazioni piccate e addirittura personalistiche. Tutto il resto – chiarissimo e lucido anche nei documenti di presentazione – come ignorato. E ieri pare giungere una conferma: sulla riunione della Commissione in corso per tre giorni trovo, salvo miei errori un solo articolo (F. Giansoldati, "Il Messaggero", p. 23: "Chiesa. La rivoluzione è donna"). Si dirà che la riunione era riservata, sì, ma pare un po' mortificante. Più mortificante, però, addirittura patologico, trovare nel 2015 articoli che paiono ignorare addirittura le leggi vigenti. Ho tra le mani tre pagine a firma Michele Sasso ("Espresso", 22/1, pp. 62-64): "Scuole private, soldi pubblici". Un lungo ragionare – si fa per dire – da cui chi legge apprenderebbe che le 13.000 "scuole private", in gran parte cattoliche, sono una sanguisuga delle 41.000 "scuole pubbliche", intese come statali. Ragiona, Sasso, ma a dire la verità pare in grave ritardo sia sulla Costituzione repubblicana sia sulle attuali leggi della stessa Repubblica. Si sa, infatti, che fino dalla Costituente l'art. 33 non fu inteso come negazione di contributi statali alle scuole non statali. E si sa anche, e Sasso si dovrebbe informare, se in buona fede, che dall'anno 2000 per legge dello Stato democratico la scuola pubblica italiana abbraccia sia le scuole statali sia quelle paritarie. Sasso non lo sa o lo tace. E allora figurati se prova a informarsi del fatto che le scuole pubbliche non statali, paritarie, fanno risparmiare allo Stato, e quindi a tutti noi, 6 miliardi e mezzo ogni anno...
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