sabato 26 luglio 2014
«L'oscurità della materia è come la profondità del mare che noi attraversiamo come pesci luminosi, quasi copie perdute e sbiadite del sole». Oscuro quanto la materia, materia che è il suo oggetto, questo aforisma, alla prima lettura. Profondo quanto il mare che ne costituisce la metafora centrale, se ne sviluppiamo la trama condensata come in un antica favola. Qualcosa dei miti narrati da Platone affiora infatti inquell'immagine degli uomini che attraversano la materia come pesci l'acqua marina. La materia non è quindi separata da noi, come l'acqua non lo è dal pesce, ma nello stesso tempo è oscura. Hans Urs Von Balthasar, prima ancora che teologo uno dei pensatori fondamentali del Novecento, paragona noi uomini a pesci luminosi, immagine smagliante, da visionario. Man mano che si scende, il mare diventa più oscuro, e quelle guizzanti forme lucenti siamo noi uomini che ancora portiamo, non come maschera, ma sulla nostra pelle e quindi anche nella sostanza della nostra carne, la luce assoluta da cui deriviamo. Siamo nati dalla luce e la realtà della materia, grave e oscura, ci spaventa: ma un subacqueo non distratto (o un visionario, che non ha bisogno di immersione) vedrebbe che in realtà noi siamo esseri fatti di luce, perduta in parte, sbiadita dalla vita terrena, ma riconoscibile.
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