giovedì 9 aprile 2020
Lo sguardo oltre la mascherina si concentra oggi sulla memoria di tutte le memorie della fede. Quella esplicitamente chiesta da Gesù, «Fate questo in memoria di me».
La sera del Giovedi Santo la Chiesa è pronta a giurare, a costo della sua stessa vita, che essa trasmette fedelmente quello che ha ricevuto. E che cosa ha ricevuto? Ha ricevuto l’impronta – non solo la notizia – di un evento che ha cambiato il verso della nostra immaginazione più antica e peccaminosa a proposito di Dio, ossia quella di Adamo: “Dio non si sacrifica per gli uomini, figurati, Dio sacrifica gli uomini, piuttosto. Di questo tratta la religione: dei sacrifici che gli uomini devono fare per Dio”. Questa immaginazione di Adamo, infatti, col tempo è diventata anche religione. (E umanesimo, infine, persino laico). L’uomo e la donna, sin dall’inizio e per ogni giorno che Dio manda in terra, continuano a mostrarsi vulnerabili a questo delirio di onnipotenza del serpente maledetto, che insinua la possibilità di diventare come Dio proprio in questi termini: “Potrai diventare pienamente padrone della tua vita, avrai il diritto di sottomettere ogni tu alla sovranità dell’io, sarai libero di abbandonare l’altro al suo destino”. Il Figlio si mette di traverso, per sempre. D’ora in avanti – e anche retroattivamente, per tutta la storia del mondo, fino alla fine – chiunque pensi di corrompere il mistero sacro custodito nella parola “Dio” con l’immagine delirante di una onnipotenza pronta a tutto pur di salvare se stessa, e la propria lesa maestà, andrà a sbattere contro la Passione del Figlio. “Questo è il mio Corpo”, “Questo è il mio Sangue”. Un “dio” che benedice il godimento proprio, al prezzo del sacrificio d’altri, deve essere sbugiardato ogni volta che viene celebrata la memoria della Cena e del Sacrificio del Signore. Chiunque dona la propria vita, rifiutandosi di moltiplicare la morte; chiunque risparmia il sangue dell’altro, persino se “nemico”, a proprio rischio, ha mangiato e bevuto la redenzione del mondo. Ci riconcilia tutti con il grembo del mistero di Dio dal quale è scaturito – e al quale è destinato – il mondo della nostra vita. E ci illumina di una bellezza eterna dell’umano, destinata a godere dello splendore ancora nascosto della vita creata. Destinata da Dio a essere risarcita – ferita per ferita, lacrima per lacrima, ingiustizia per ingiustizia – una volta che avremo percorso l’ultimo miglio e superato l’ultimo ostacolo. In questo momento la nostra resistenza nei legami umani che ci rendono umani è messa a dura prova. Dobbiamo difenderli rimanendo a distanza, per cercare di ritrovarli. La celebrazione del Giovedì Santo, quest’anno, deve sacrificare lo spazio della nostra comunione col Figlio e tra di noi. Puntiamo tutto sull’altro lato del suo mistero: il tempo. «Io sarò con voi, fino alla fine del mondo». Il mistero del Corpo e del Sangue del Signore dura nel tempo fino a noi e oltre noi stessi, non perché noi lo ripetiamo in figura: piuttosto, noi possiamo ripeterlo in figura, perché la deflagrazione dell’Evento pasquale dura intatta nel tempo, fino a renderci contemporanei alla sua potenza. Intensifichiamo lo sguardo, oltre la mascherina. Non pensiamo all’aula della chiesa parrocchiale, pensiamo alla sala alta in cui il Signore ha dato appuntamento ai suoi. E chiediamo di esservi ammessi, di essere contemporanei dell’evento. La nostra intima contemporaneità con la Cena del Signore avrà riscontri inequivocabili: dissolverà le controfigure ossessive di Dio, ci restituirà ai legami del dono, ci commuoverà di ogni consolazione dell’altro, come fosse la nostra. In quel momento stesso sapremo di essere stati lì, dovunque siamo ora.
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