domenica 26 aprile 2015
Fatmatu non ha dubbi: «Ora è davvero finita». Questa bimba di nove anni è stata contenta quando, lo scorso, luglio, le lezioni sono state improvvisamente interrotte. Il governo della Sierra Leone aveva deciso di chiudere le scuole a causa dell'emergenza ebola. A Fatmatu, però, sembrava quasi una vacanza. La pausa, tuttavia, si è protratta per nove lunghi mesi, durante i quali il virus ha infettato quasi 11mila cittadini. Almeno 3.350 sono morti. Tra loro anche alcuni amici e parenti di Fatmatu. Alla piccola è sembrato un incubo. «Rivolevo un po' di normalità. Rivedere i miei compagni, gli insegnanti... La notte, spesso, sognavo di poter tornare in classe». Ora, finalmente, il suo desiderio si è avverato. Con il contagio calato a sei nuovi casi alla settimana, anche Freetown – dopo Liberia e Guinea Bissau – ha potuto riaprire le oltre 8mila scuole e rimandare in aula 1,8 milioni di bambini. Dopo due settimane di lezioni a singhiozzo, ora il sistema è tornato a regime. All'appello, però, oltre alle piccole vittime, manca buona parte dei 12.023 “orfani di ebola”. A dare l'allarme è Street Child (www.street-child.co.uk/), organizzazione che ha fornito assistenza a oltre 10mila di loro. Perso il genitore che li accudiva e li manteneva, i piccoli sono stati affidati spesso a parenti o vicini con pochi mezzi. «Per queste famiglie è difficile affrontare il costo della retta, dei libri, dell'uniforme – spiegano da Street Child –. L'epidemia sta finendo ma le sue conseguenze si fanno sentire con forza. L'emergenza ebola no. Non si può abbandonare la Sierra Leone».
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