mercoledì 6 settembre 2006
C'era una volta: nei Paesi comunisti si parlava male del leader morto dimenticando quanto se ne era detto bene, per esaltare quello vivo. L'uso vige ancora in pagina, da noi, quando si tratta di Chiesa, ma alla rovescia: si parla male dei Papi vivi magari parlando bene di quelli morti, criticatissimi da vivi. Ieri su "Repubblica" Marco Politi racconta così il messaggio di Benedetto XVI al Convegno di S. Egidio ad Assisi: «Nel solco di Wojtyla il pontefice riafferma solennemente: "a nessuno è lecito assumere il motivo della differenza religiosa come pretesto di un atteggiamento bellicoso verso gli altri esseri umani". Ratzinger ha elogiato la valida profezia di Karol Wojtyla». Elogio del Papa morto, dunque, ma con seguito: «ma (Ratzinger) nel suo intervento ne ha sterilizzato la carica innovativa». Sostiene l'Autore, infatti, che Giovanni Paolo II ad Assisi nell'86 «riconobbe la pari dignità delle preghiere" dei credenti di ogni fede, Benedetto XVI ha, invece, ripetutamente messo in guardia dai rischi di "inopportune confusioni"" mai ha pronunciato le semplici parole "Preghiamo insieme"». Bella lettura: Giovanni Paolo II, rivoluzionario e tollerante, ecumenico e aperto, era per l'uguaglianza di tutte le religioni, mentre Benedetto XVI ci fa tornare all'unico Dio vero in Gesù Cristo. Viva la modernità del primo! Ci tocca sopportare l'oscurantismo di ritorno del secondo! In sintonia - manco a dirlo - Fulvio Fania su "Liberazione"(p. 7): «Ad Assisi religioni per la pace. Ma Ratzinger mette i paletti». C'era una volta la mentalità dell'antico "socialismo reale". Adattata e rovesciata per la Chiesa cattolica, c'è ancora.
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