giovedì 11 gennaio 2018
Jimmy Stewart, ancora lui. Lo abbiamo lasciato qualche settimana fa, grato e commosso sotto l'albero di Natale in La vita è meravigliosa di Frank Capra, e lo ritroviamo nelle turbolenze in una campagna elettorale che potrebbe dare più di uno spunto alla comprensione di quella alle prime battute qui in Italia. Solo che la vicenda raccontata nel 1962 da John Ford in L'uomo che uccise Liberty Valance si svolge nel West americano, il territorio della grande frontiera sul cui sfondo sono ambientati anche altri capolavori del regista, compresi i proverbiali Ombre rosse (1939) e Sentieri selvaggi (1956). Ci sarebbe l'imbarazzo della scelta, insomma, eppure L'uomo che uccise Liberty Valance continua ad imporsi alla nostra attenzione per una serie di motivi che vanno al di là della pur suggestiva coincidenza con l'attuale clima politico italiano.
Si tratta, per cominciare, di un film che, pur rappresentando alla perfezione le regole del genere al quale appartiene (il western, in questo caso), riesce a mettere in discussione quelle stesse regole fino a rivelare il segreto, non soltanto narrativo, su cui si basano. È la famosa battuta sulla leggenda che diventa realtà, ricordate? Print the legend, "manda in stampa la leggenda", dice nella versione originale il giornalista che ha appena raccolto la lunga confessione del senatore Ransom Stoddard (James Stewart, appunto), rifiutandosi però di pubblicarla. Siamo a Sinbone, la cittadina dalla quale molti anni prima la carriera politica di Stoddard era partita, spinta da un episodio che, sostiene ora il diretto interessato, non è mai avvenuto. Realtà contro leggenda, dunque. E la leggenda che vince, proprio come è accaduto con l'epopea del West.
A Shinbone l'onesto Stoddard era arrivato fresco di laurea in legge, solo per scoprire che laggiù la legge non era tenuta in eccessiva considerazione. A spadroneggiare da quelle parti è infatti la banda di mandriani-briganti capitanata dal prepotente Liberty Valance (l'attore Lee Marvin). Il giovane avvocato ne denuncia le malefatte dalle colonne della gazzetta locale, destinata a subire intimidazioni e vandalismi nel più prevedibile stile mafioso, e intanto continua a sbarcare il lunario lavorando come sguattero nella locanda del paese. Stoddard è tutt'altro che un debole, ma non sa e non vuole fare ricorso alla violenza. Il cowboy Tom Doniphon, al contrario, è un uomo capace di usare una pistola. A interpretarlo è John Wayne, che proprio Ford aveva consacrato in Ombre rosse come modello dell'eroe western. Ma se Stoddard non è un codardo, Doniphon non è un bandito: entrambi hanno a cuore la giustizia ed entrambi, inoltre, sono attratti dalla stessa donna, Hallie, che ha la quieta bellezza dell'attrice Vera Miles. La situazione precipita, Stoddard è costretto ad affrontare in duello Liberty Valance nella penombra della strada principale di Shinbone. Un lampo nel buio, il malvivente che cade ucciso, l'avvocato salutato come giustiziere e subito eletto rappresentante al Congresso degli Stati Uniti. Tutto sta a sapere chi abbia veramente esploso il colpo fatale. Tutto sta a capire chi sia, in fin dei conti, "l'uomo che uccise Liberty Valance".
Incorniciato in uno struggente flashback (l'ormai celebre Stoddard e Hallie, diventata sua moglie, tornano a Shinbone per i funerali di Doniphon), il film di Ford è una riflessione intelligentissima e melanconica sulle dinamiche che presiedono alla formazione del consenso. Quasi un trattato di filosofia politica, realizzato però con gli strumenti caratteristici del cinema: nella scena decisiva, basta spostare di pochi metri la macchina da presa ed ecco che la leggenda, una buona volta, cede il posto alla realtà. A quel punto, sta a noi spettatori scegliere da che parte stare.
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