mercoledì 8 maggio 2019
Per chi, come me, non sa quasi nulla di letteratura giapponese, un romanzo come La strana storia dell'Isola Panorama, di Edogawa Ranpo (Marsilio, pagine 192, euro 16) è un invito a colmare una lacuna. Tradotto e curato da Alberto Zanonato (1991), che dal 2015 risiede a Tokyo dopo essersi laureato in lingue a Ca' Foscari, il libro offre garanzie di affidabilità. È un romanzo mystery e, fra tutti i generi letterari che non mi interessano, il mystery è quello che mi interessa meno. Ma tant'è: la curiosità induce a esplorare terre incognite. Dall'Introduzione di Zanonato si apprende che «Edogawa Ranpo è considerato uno dei più importanti maestri della narrativa noir giapponese» e per dare la misura della nostra distanza dal Giappone, apprendiamo che Edogawa Ranpo è lo pseudonimo che Hirai Taro (1894-1965) si è scelto perché in giapponese viene pronunciato press'a poco come Edgar Allan Poe, maestro al quale l'autore diceva di ispirarsi. Anche la storia, riassunta nel risvolto di copertina, ha tutto per non piacermi. Si tratta di un tizio squattrinato e nullafacente, somigliantissimo a un suo compagno di studi, lui sì ricchissimo, morto per un attacco di epilessia. L'idea è di disseppellire il cadavere e assumerne l'identità, spiegando che si era trattato di una morte apparente, con inumazione frettolosa, come sembra avvenire in certi casi di epilessia. Zombi e cadaveri putrefatti mi hanno sempre fatto schifo, per cui continuo a interrogarmi se davvero vale la pena di leggere questo mystery giapponese. Seguirò il consiglio del grande Marshall McLuhan (1911-1980) il quale suggeriva che, per assaggiare il tono di un romanzo, bisogna leggere la pagina 39. Però la pagina 39 della Strana storia dell'Isola Panorama è un risguardo tutto bianco, e non è incoraggiante. Seguo allora il criterio di Ford Madox Ford (1873-1939), di cominciare da pagina 99. Leggiamo: «Dovunque si recasse, mentre gli veniva riservata un'accoglienza trionfale, fu molto occupato a lambiccarsi il cervello su diverse questioni: come fare per vendere con il maggior profitto possibile gli immobili e le imprese commerciali che fossero; se fosse possibile convertirli in denaro; quali vendere per primi e in che ordine», eccetera. "Accoglienza trionfale", "lambiccarsi il cervello"… banalità prosastiche come si scriveva alla fine degli Anni '20 in Italia e, a quanto pare, in Giappone. Credo che un mystery debba far paura, e quindi vado a cercare una pagina che spaventi. Il disseppellimento del cadavere per assumerne l'identità sembrerebbe appropriato: «Toccò per prima quella che si sarebbe detta essere una testa rasata, percependone i corti capelli ispidi su tutta la superficie. Ritrasse di colpo le mani dal raccapriccio e, una volta calmate le palpitazioni, le riallungò, toccando questa volta la bocca del morto coi suoi denti coriacei». Non è una scena di paura, è di raccapriccio, dalla quale anch'io mi ritraggo. E che pedanteria! «Si sarebbe detta essere una testa rasata»: troppo essere. Bastava «si sarebbe detta una testa rasata». Da questa non recensione si capisce che il mystery non fa per me. Lascio dunque La strana storia dell'Isola Panorama a più pazienti lettori.

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