domenica 15 aprile 2018
«Recitare mi piaceva, però il mio vero divertimento era il calcio. Non avevo grandi piedi, ma tanto fiato. Il mio non era ancora il Grande Torino, anche se eravamo forti...». Questo è uno stralcio di un'intervista che non ho mai pubblicato in cui Raf Vallone, attore di culto, il bello degli anni 40-50 del Novecento, dalla sua casa di Sperlonga mi confidò la passione giovanile, mai sopita, per il calcio e l'orgogliosa militanza nel Torino, iniziata tra le fila dei “Balon Boys”, le nuove leve cresciute dal campione Adolfo Baloncieri. Con i ragazzi del Toro, Vallone vinse uno scudetto di categoria nella stagione 1930-31. L'altra guida negli anni granata fu l'ebreo ungherese mister Egri Erbstein, scampato alla Shoah, ma non alla sciagura aerea di Superga del 1949. Anno in cui Vallone era passato dai riflettori di uno stadio a quelli altrettanto sfarzosi di Cinecittà. Di calcio aveva continuato a parlare e scrivere dalle colonne dell'“Unità” e il direttore Davide Lajolo gli commissionò l'inchiesta sulle risaie piemontesi che cambiò il suo percorso, anche di attore, diventando l'indimenticato protagonista (con Silvana Mangano e Vittorio Gassman) di “Riso amaro”. Ma da “eroe della domenica” il più bel film fu quello “girato” al vecchio Filadelfia: «Quando iniziai ad allenarmi con la prima squadra non vedevo una palla.... Poi durante una partitella, finalmente Baloncieri mi fece un cross, e al volo la buttai dentro. Mai provata una gioia più grande di quel gol».
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