martedì 19 dicembre 2017
Qui l'altro ieri sul "fine vita", e molta eco. Ieri
sul "Corsera" (p. 29: «La lezione virtuosa di una legge civile») Pierluigi Battista come sempre serio e pacato difende questa legge. Spiace non poter essere d'accordo, ma soprattutto non trovare, pure in tante altre "laiche" pagine, la ragione di fondo, di fatto unica che, pure a me, pare rendere necessario il disaccordo anche a chi, nel 1974 e persino nel 1981, ebbe a comprendere e a difendere sia l'allora vigente legge sul divorzio sia poi, e più drammaticamente, la legge 194, pur riaffermando diritto e dovere della Comunità ecclesiale a ribadire con la dottrina e mostrare con la vita che il matrimonio vero è indissolubile e l'aborto è soppressione di vita innocente… Qual è dunque oggi la ragione di fondo del disaccordo? È il fatto che, trascurando, o a un certo punto omettendo, le cure palliative del dolore e soprattutto chiamando "terapie", sempre e comunque, idratazione e nutrizione al pari dell'aiuto alla respirazione si ottiene un solo effetto concreto e sicuro: il "paziente" morirà non per la malattia che lo ha portato a quel punto, ma per fame e per sete… Non credo che sia possibile altra interpretazione obiettiva. Si interrompe il dovere di "cura", se vogliamo esprimerlo con un motto il famoso I care, che vuol dire accompagnamento, premura, vicinanza, affetto manifestato anche se si suppone non recepito – e poi chi lo sa davvero come stanno le cose in ogni caso? – semplicemente ricorrendo a una negazione. La morte per malattia, in quanto "fine" nemica come sempre viene da sé, e nella fede è sorella e persino "guadagno" (Fil. 1, 21), la morte per interruzione di "cura" che porta la fine delle cure mediche arriva per decisione umana. Non è la stessa cosa: chi crede che la vita è "dono" non può dire che questo modo di morire rispetta il Donatore.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI