domenica 18 settembre 2016
La casa era in una conca, sulla curva del fiume. Dal cortile, 200 metri di sentiero, di cui la metà in salita, la collegavano alla strada sterrata. D'inverno la neve copriva tutto lautamente. Pascoli ne sarebbe stato contento, con le sue tre nevicate, una più cara dell'altra. Mio padre spalava il metro di larghezza della stradicciola ed alla fine ne risultavano due bordi alti di bianco. Ci correvo dentro, fra i lati che mi arrivavano alla cintola. Mi sentivo un piccolo Mosè, che traversa il Mar Rosso, fra i bellissimi argini canuti. Ogni estate, però, l'erba avanzava sui due versanti, lasciando libero solo una spanna di ghiaia su cui camminare. Allora mio padre ripeteva il lavoro, scotennando il percorso destra e manca ed i sassi, colpiti di striscio, scintillavano, odorando di zolfo. Era un lavoro duro, il solito braccio di ferro fra uomo e natura. D'autunno, le piogge rammollivano, lasciandoci nella fanghiglia. I vermi spuntavano come fiori, decorando poi il percorso con le loro carni rosate. Quella volta, aiutai il medico, cui slittavano le ruote in salita. L'impresa riuscì e se ne andò, sventolando una mano dal finestrino. Gli schizzi mi avevano completamente coperto di fango; lui non se ne accorse. Sembravo il manufatto di Dio alla creazione di Adamo, aspettavo il suo soffio che mi venisse da lassù.
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