martedì 11 febbraio 2014
Milano, febbraio. Mercoledì mattina, un quarto alle sette. È buio, e piove appena. Il traffico è ancora calmo, ma già dalle autostrade si riversa il fiume in piena delle auto dei pendolari (coi fari accesi come occhi abbaglianti là, in colonna, ai caselli, truppe di un'armata di acciaio). Qui alla Bullona l'edicolante è già da ore al lavoro dietro ad alte pile di giornali. Dei bar, sono aperti quello all'angolo, e il cinese; e "caffè", "caffè", "caffè" invocano gli avventori assonnati al barista. L'auto ha sul parabrezza come uno strato di gelido vapore. L'asfalto dei viali luccica di pioggia, i grossi camion della nettezza urbana passano pachidermici, la luce gialla intermittente sul tetto. Si fermano, ingoiano montagne di rifiuti nella gran bocca dabestie carnivore e si rimettono in moto, umili e lenti. Mi piace a quest'ora alzare gli occhi alle facciate delle case e spiare come in pochi secondi due, tre, quattro finestre si illuminano; e immaginare, dentro, caffettiere che borbottano sui fornelli, e il profumo aspro del caffè che si allarga dalle cucine.Ora il traffico si è gonfiato e preme nervoso, è un "muoviti!" impaziente il colpo di clacson a chi tarda un istante a ripartire, al verde. E intorno il cielo va rischiarando, piano; dalla foschia notturna le cime dei grattacieli di Porta Nuova emergono come comignoli di grandi navi ancorate in un nebbioso porto. E le gru dei cantieri lentamente, alla prima luce, cominciano a girare; nel borbottio di grosse betoniere, quasi il rumore stesso del lavoro.E fretta, fretta, abbiamo tutti fretta. Scendono di corsa i pendolari nel metrò Garibaldi, salgono di corsa i viaggiatori le scale della Centrale. Verso est, sopra Linate, il lampeggiare sicuro degli aerei in decollo, che poi spariscono dentro l'ultimo lembo della notte. Le sette e venti: insieme, tutti i lampioni di corso Buenos Aires si spengono. È giorno, ma giorno lattiginoso di cielo grigio sporco. Pare una donna, la città, a quest'ora, appena alzata, pallida, ma già svelta nel governo della casa. Mi incanta di Milano, a quest'ora, l'affannoso respiro, e l'ansia calvinista di lavoro, nel clangore delle saracinesche che si alzano. Mi inteneriscono le facce degli sconosciuti pressati nei vagoni del metró: dove sembriamo tutti soli, eppure in mattine come queste io quasi avverto su di noi uno sguardo buono. Forse, i santi e le vergini di marmo sulle guglie del Duomo? Che nell'alba di inverno lentamente emergono dalla foschia e vegliano sul nostro camminare tesi, assorti, a capo chino.
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