Quello che la Germania può insegnare all'ortofrutticolo italiano
domenica 4 febbraio 2018
Un tesoro che va valorizzato di più e che, anzi, deve essere accresciuto ancora e soprattutto difeso da una agguerrita concorrenza. Anche se vale già miliardi di euro. Quello dell'ortofrutta è uno dei comparti davvero d'eccellenza per la nostra agricoltura. E come tale, è sottoposto a tutte le evoluzioni di un mercato che è mondiale e non certo casalingo.
È con questa idea in testa che gli operatori del settore stanno per partire alla volta di Fruit Logistica di Berlino, la manifestazione che, prima al mondo, raccoglie il meglio del settore ortofrutticolo. E non è un caso che l'Italia guardi con particolare attenzione alla Germania. Il mercato tedesco – ha spiegato in vista della manifestazione berlinese Fruitimprese (l'Associazione nazionale degli esportatori/importatori di ortofrutta) –, rappresenta il nostro maggior cliente estero: assorbe circa il 40% delle esportazioni italiane in Europa per un controvalore medio negli ultimi anni di 1,2 miliardi di euro. Insomma, è lì che si fanno gli affari che contano di più. Nonostante la forte concorrenza straniera, in particolare spagnola e turca che dà del filo da torcere agli italiani che tuttavia si difendono più che bene: negli ultimi 5 anni, dice però Fruitimprese, non abbiamo perso quote di mercato ma neppure recuperate. Che si possa fare di più e meglio, è quindi assodato. L'80% dell'export italiano in valore è rappresentato da 5 prodotti: mele, uva da tavola, pesche/nettarine, pere e kiwi. Che devono fare i conti non solo con la concorrenza ma anche con la crescita delle produzioni locali.
Ortofrutta ancora d'oro, comunque. Anche se i temi da affrontare sono ormai diventati mondiali. Per questo l'appello degli operatori è sempre lo stesso: essere più efficienti e coordinarsi di più. Proprio il mercato tedesco sembra costituire da questo punto di vista una sorta di laboratorio su vasta scala. In Germania – spiegano ancora gli esportatori –, c'è un mercato enorme caratterizzato da una forte concentrazione della Grande distribuzione organizzata; ma i consumi sono stagnanti mentre c'è molta attenzione alla qualità, all'innovazione e ai prodotti del territorio.
Da tutto questo l'indicazione che arriva dalle imprese di import-export: le aziende italiane sono chiamate a uscire dalla logica delle commodity e a puntare sui marchi, sul biologico, sulla naturalità e sul benessere che da sempre caratterizzano le nostre produzioni. Che è poi quanto, magari in altre forme, i produttori agricoli stanno già cercando di fare da tempo. E forse, ciò che davvero ancora manca è la capacità di perseguire con più decisione e tutti insieme questa strada.
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