giovedì 15 giugno 2017
Ci sono eventi della storia che hanno il valore di un salto, di una cesura, di una pagina nuova. Natura non facit saltus è un vecchio luogo comune, di un buon senso che non appartiene realmente alla storia dell'uomo come possiamo constatare nelle nostre storie personali e negli accadimenti collettivi. Uno di questi eventi è la scrittura dei Vangeli. Liberazione dalle pastoie umane, superamento del feticismo, delle pratiche pseudo-magiche, disponibilità della meraviglia a portata di mano.
A un tratto l'artificio, normativo o gestuale, si dissolve. Al suo posto si innalza la sacralità della vita comune, il rapporto diretto dell'uomo con il mistero, che non è più esclusiva di alcuni depositari e diviene incontrabile per tutti. Disponibile nel quotidiano, nella continua esperienza di ogni giorno. Il mistero non è più incredibile. Il mistero è a portata di ognuno. Eppure dopo tutta questa chiarezza, diretta, senza intermediari, si sono ricreati nei secoli fraintendimenti, sovrastrutture, dipendenze rinnovate, calcoli strategici.
La cosa è singolare solo in apparenza. Questo processo è avvenuto per ogni situazione in cui la semplicità di una visione ha tentato di mettere tutti di fronte alle proprie categorie senza distinzione, con una franchezza che probabilmente è quella difficile da sostenere. La luce diretta e semplice viene di nuovo progressivamente allontanata da tanti diaframmi, normativi, rituali, gerarchici, che ne riducono la luminosità fino a ricreare la penombra.
Non si tratta solo di fotofobia. Quel contatto diretto, quella improvvisa semplificazione della legge minaccia di togliere il proprio ruolo a molti. Il riscatto umano alla portata di straccioni, prostitute, ladri e pubblicani esautora in un colpo le classi di dignitari e farisei. Uno come Caifa non poteva accettare di essere parificato improvvisamente al pescatore o alla vecchietta della decima.
La promozione da gestori a servitori dell'uomo è stata vissuta dai sacerdoti come un affronto, un insulto intimo e inaccettabile. Il ribaltamento liberatorio della legge in direzione dell'uomo era una rivoluzione totale. Tutta la schiera di mediatori che vivevano in quei diaframmi artificiali creati tra popolo e mistero, all'improvviso avevano perso lavoro. La bellezza della semplificazione rivelata doveva avere per loro il senso di una operazione letale.
Ed è così nuovamente oggi. Il corso attuale della Chiesa sta tentando di recuperare la semplicità, che non è banalizzazione, che non è populismo. È vicinanza. E io francamente di un sacro, di un mistero che non è vicino non saprei che farmene. Le resistenze sono le stesse. Chi si sente importante perché parte di un catafalco artificiale che allontana anziché avvicinare, chiaramente resiste con veemenza al drenaggio del superfluo. E spesso lo fa appellandosi a un sacro che come per i farisei, esiste se distante, se bardato di una corazza di inaccessibilità, magari dorata e inutilmente sfarzosa. Un sacro che coincide più col potere, col prestigio, con l'arbitrio che con lo stupore di un miracolo sicuramente più vicino alla prostituta che al fariseo.
Ma il sacro non è un ufficio di collocamento, un luogo dove coltivare carriere da broker finanziario o intellettuale alla moda. Non è neanche la propria personale idea di fasto imperiale, di sedia gestatoria, di broccati e foglie d'oro. Il sacro è il ribaltamento del cielo nell'uomo, l'inversione delle regole del mondo, la rivelazione del destino comune, l'abolizione delle separazioni pur nella diversità di ciascuno. Ed è grande fonte di ispirazione osservare con stupore che nonostante tutto, nonostante tutti coloro che prosperano negli anfratti delle normative ricreate e artificiali, l'unico vero miracolo ricomincia ad accadere: l'annuncio della prossimità.
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