martedì 9 marzo 2021
Quando i figli erano piccoli, al mare, e veniva una giornata di pioggia, dovevo trovare qualcosa da fare. Non so nemmeno io perché, era diventata un'abitudine andare alla stazione del piccolissimo paese del Livornese in cui stavamo. Piccolissima era anche la stazione, bianca, pareva un giocattolo, e quasi nessun treno si fermava. Ma a noi quattro - i tre e io - piaceva stare a guardare passare i treni. Erano belli i merci, lenti, pesanti, rugginosi, con la loro serie infinita di containers. Chissà cosa c'è dentro, e in quali lontani Paesi vanno, mi domandavo a voce alta. Ma la cosa più emozionante era quando, un minuto prima del sopraggiungere di un treno veloce, la campanella della stazione cominciava a squillare, acuta, incessante. Allora mi stringevo forte i tre sulla panchina, e di colpo il treno velocissimo piombava sui binari, in un urto di vento. Ai bambini, la campanella e lo schiaffo di vento piaceva tanto. Anche a me: come, non so, il tuono di un temporale. E ora che i ragazzi sono grandi, e in gamba, e bravi, ma com'è naturale ormai distanti con i genitori, a volte vorrei chiedere: ve li ricordate, nei giorni di pioggia al mare, i treni? La campanella, il vento, e come ridevate? Ma non lo chiedo, è inutile. Quei bambini non esistono più. Anche se forse, in un giorno di pioggia al mare, non sapendo bene perché porteranno i loro figli piccoli alla stazione del paese: a veder passare i treni.
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