venerdì 18 marzo 2016
«Lo sai che tuo padre mi ha salvato la vita?». Quando cinque anni fa Virginia Nardecchia, la figlia del lattaio del ghetto, entrò nella cioccolateria vicino a casa, non immaginava di scoprire che suo padre aveva salvato due bambini il 16 ottobre 1943, il giorno più nero per gli ebrei romani, quello del rastrellamento. Con umiltà, Nardecchia non lo aveva raccontato neppure a casa. Chi stava mostrando l'uovo di Pasqua alla figlia dell'allora lattaio era Gabriele Sonnino: «Da giorni con la mia famiglia – iniziò a raccontarle – stavamo nascosti in una macchina abbandonata in un cortile, grazie all'accordo con il custode». Si erano rifugiati lì dopo un periodo all'ospedale Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina, dove il priore cattolico, il polacco Fra' Maurizio Bialek, nascondeva gli ebrei. A seguito di un controllo improvviso, i Sonnino avevano dovuto cambiare rifugio. «Io e mia sorella – continua Gabriele – eravamo scappati in strada a giocare e fummo presi dai nazisti». A rischio della propria vita, Nardecchia si lanciò in strada, urlò al soldato tedesco che Sara e Gabriele erano i suoi figli e li portò nella latteria. È uno dei piccoli gesti che ha salvato tanti ebrei a Roma e nel mondo, ma per decenni fu conservato solo nei ricordi della famiglia Sonnino. La scorsa settimana, la Comunità ebraica di Roma ha voluto onorare i Nardecchia con una cerimonia nel cortile della scuola ebraica a Portico d'Ottavia. A Virginia è stata consegnata una medaglia d'argento, coniata da un laboratorio sito nel locale in cui si trovava la latteria del padre.
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