venerdì 29 agosto 2014
Alla fine della fiera – è il caso di dirlo – i ministri al Meeting sono passati, ma soprattutto la gente è passata: per seguire gli incontri, guardare le mostre, oppure per dire, con Guareschi, protagonista di una mostra in parallelo a Jannacci, che «l'uomo è vivo fin quando ha voglia di ricominciare». Pochi hanno ripreso l'incontro sull'agroalimentare di lunedì, col ministro Martina, l'imprenditore Farinetti, il presidente di Confagricoltura Guidi, e il presidente della Ferrero Spa Fulci che ha parlato di un export alimentare a doppia velocità: «Nell'ultimo decennio è cresciuto dell'86%, rispetto al 46% delle altre esportazioni». Ma manca ancora la “narrazione” del nostro prodotto, ha detto il patron di Eataly, per cui è tornata a veleggiare la proposta di un marchio unico Italia, che contraddistingua i nostri prodotti nel mondo. Già, ma quale sarà la narrazione all'Expo? A sentire il presidente di Confagricoltura non c'è un solo punto di incontro con l'altra organizzazione agricola, la Coldiretti, figuriamoci poi se si va nei territori. Tuttavia l'Expo sarà per forza una sintesi e molti nodi dovrebbero giungere al pettine. Uno che ha risvolti paradossali lo ha rilevato Fulci: a metà 2013 il ministero della Salute britannico ha varato l'etichettatura a semaforo, con l'idea di dare un'informazione su quanto sale, grasso o zucchero vi è nei prodotti. In pratica: se si supera una certa quantità di questi elementi, quello in eccesso viene segnato col rosso. Con quale risultato? Che la maggior parte dei nostri prodotti, dal prosciutto crudo all'olio di oliva, ma persino gli spaghetti al pomodoro, per non parlare dei dolci, sono col rosso. E un sondaggio tra i consumatori inglesi mostra che il 40% delle donne non comprano più quel prodotto. Un'amara realtà, ma anche un'ipocrisia, se pensiamo che i pop corn e la Coca Cola zero che hanno il bollino verde andrebbero bene. E la regola saggia di variare gli alimenti? In realtà dietro alla filosofia del semaforo si nasconde l'interesse di quelle lobby industriali che ormai producono di tutto. E se il contadino europeo non può fare nulla per cambiare il colore al semaforo, l'industria può fare miracoli, ad esempio sostituendo lo zucchero coi dolcificanti, gli additivi al posto dei grassi. La verità, ha detto sempre Fulci è che «non esistono ingredienti buoni o cattivi, ma diete e stili di vita buoni o cattivi. Grazie alla dieta mediterranea, il tasso di obesità in Italia è tra i più bassi del mondo, intorno al 9%. Per cui il fatto che a subire il bollino rosso siano gli ingredienti del Made in Italy dà l'idea di come dietro non ci sia la volontà di promuovere un'educazione nutrizionale corretta, ma solo un sistema di protezionismo industriale camuffato di salutismo». Che fare?
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