venerdì 3 febbraio 2012
Ci sono date, nella vita, che non si dimenticano. No, non parlo di compleanni, onomastici e anniversari famigliari. Io ho una data speciale, indimenticabile, per il freddo e il calcio uniti - come in queste ore - da una partita. Il 29 ottobre del 1997 ero a Mosca, Stadio Lenin, per assistere a Russia-Italia, match di qualificazione per i Mondiale del 1998. Temperatura, meno otto; e nevicava: neve moscovita, tosta, pesante. Al 32' si infortunò Pagliuca e Cesare Maldini decise di mandare in campo un esordiente, Gigi Buffon, che non solo non aveva fatto... riscaldamento ma era entrato in campo con la maglietta della salute, non trovando quella azzurra. Aveva 19 anni, Gigi, e ci scaldò letteralmente il cuore. Di lì a poco Vieri segnò, e ci accalorammo per la sua impresa che poteva portarci a Parigi; ma fu ancora gelo quando Cannavaro provocò il pareggio con un'autorete, il primo gol incassato da Buffon. In queste ore, dunque, mentre va in onda il balletto ridicolo del gioco-non-gioco perché è freddo, perché c'è la neve, anzi c'è anche il gelo, e il mister non vuole, il campione non vuole, Galliani non vuole e il prefetto neppure, prendo nota che non solo l'organizzazione calcistica è sempre più in stato confusionale ma anche gli uomini - calciatori, allenatori, forse anche giornalisti - non sono più gli stessi. Hanno freddo, perbacco, e il comodismo - malattia del nostro tempo - gli fa dire di stadi coperti, riscaldati, bomboniere morbide e avvolgenti, magari con distribuzione di un wiskaccio alla memoria di Niccolò Carosio. In questo Paese di santi, poeti, navigatori e freddolosi non esistono più quei giocatori che il 16 gennaio 1985 vinsero la finale della Supercoppa Europa giocando sotto la neve. Erano juventini e prima del match si erano dati da fare con le pale per aiutare gli operai a ripulire il campo dalla neve; poi con due gol di Boniek avevano fatto fuori il potente Liverpool. I festeggiamenti finali fra italiani e inglesi furono sinceri, con scambi di maglie e abbracci. Nulla fece pensare che di lì a poco, il 29 maggio, i tifosi dei Reds avrebbero provocato la strage dell'Heysel. C'è chi dice che son cambiati i tempi, io ribadisco che sono cambiati gli uomini: il denaro li ha rammolliti. Ma anche il calcio è cambiato: mai virtuoso, ha tuttavia toccato il fondo vendendo l'anima al diavolo - la Paytivù - che cura i proprio interessi, indiscutibili, cercando di gestire il calendario del campionato ad uso del palinsesto, moltiplicando le notturne che fanno “odiens”, esponendo spettatori e giocatori al freddo e al gelo: i primi spesso restano a casa davanti alla tivù, i secondi spesso finiscono in infermeria. Il calcio ha sicuramente nemici esterni ma i danni maggiori li fa il fuoco, anzi, il gelo amico.
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