giovedì 15 febbraio 2018
Ieri qui (p. 5: «La confessione? Gode di ottima salute») bella intervista di Marina Lomunno a Don Marino Basso, parroco torinese e per 12 anni rettore del celebre santuario della Consolata, con l'elogio della Confessione, incontro del nostro peccato con la Misericordia. Lui in conclusione ricorda sorridendo che per «i Padri della Chiesa la grata del confessionale» non è una «barriera» a tutela del penitente che altrimenti arrossirebbe di vergogna, ma «come un velo» perché «Dio che ci ama arrossirebbe» per «non aver fatto abbastanza perché non cadessimo nel peccato». Bel rovesciamento delle apparenti premesse... E nel genere c'è altro, ma in tutt'altra prospettiva. "Il Foglio" (10/2, p. 5 intera: «La Santa Sede e i regimi dittatoriali») partendo da un'affermazione di Paolo VI sulla «difesa della verità» nei confronti dei regimi dittatoriali del suo tempo rievoca la «Ostpolitik» degli anni 60 e 70 del Novecento per dire tutto il peggio possibile circa i rapporti odierni della Chiesa che spesso chiama "di Francesco", ma che è sempre quella di Cristo (e di Pietro), con Turchia islamica e Cina comunista. Leggi dunque che ai tempi di Paolo VI l'accanimento dei nemici della Chiesa era dovuto al fatto che «si voleva a tutti i costi spezzare il legame tra la Chiesa cattolica allora cinese e quella universale, quel legame rappresentato in forma suprema dal Papa», e che allora «il Vaticano cercava una mediazione e una coesistenza con i regimi atei» con «analogie reali» nei riguardi dei tempi delle «antiche catacombe». Al tempo! Ci pensi un po' e avverti "la" contraddizione di fondo. Infatti anche oggi certe accuse a Francesco paiono, ma dall'interno, "voler spezzare" proprio quel «legame rappresentato in forma suprema dal Papa». Anche qui "rovesciamento", ma brutto, delle apparenti premesse. E nel pensiero torna il rossore della vergogna.
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