domenica 20 maggio 2012
Dal quinto piano dell'albergo la città è un colpo d'occhio mediterraneo, grigio bianco, tetti piatti, terrazze; campanili e cupole la fanno città europea. Tardo pomeriggio domenicale, poco traffico, rumori attutiti; verso il centro un brusio sordo e crescente indica il passeggio, l'affollarsi di strade e piazze a cui tutti convergono. Sono a Lecce e si rinnova il mio stupore, immutato nel tempo, per la bellezza di questa città: dal rigore geometrico degno di un medioevo normanno al fiorire prorompente del barocco. Un'unica pietra sfumata in mille tonalità, dal bianco all'ocra, il grigio nero come patina del tempo. Ci arrivai la prima volta in autostop nell'estate del 1972, primo viaggio alla scoperta del sud. Colpito da tanta bellezza mi tolsi le scarpe per rispetto, per non disturbare in casa d'altri e scalzo girovagai l'intera notte. Vorrei farlo anche oggi ma vado di fretta e devo accontentarmi di sguardi rapiti. Ci sono molti sud, in Italia, molti modi di abitarli e la cartina geosociale del Paese non è divisibile in due, tre macroaree ma rimanda ad un caleidoscopio che si scompone e ricompone secondo prospettive mutevoli: chi guarda, cosa cerca.A Benevento non m'ero mai fermato, sono arrivato con vento freddo dopo giornate accaldate; pochi passi in centro bastano per evocare una profonda sensazione di familiarità. C'è una geografia che si nutre di storia e trova corrispondenze inattese ma evidenti allo sguardo e al cuore in un'area vasta quanto l'idea stessa di una civiltà. Una geografia della mente che evidenziando specifici elementi circoscrive un luogo riconoscendolo come proprio, appartenente alla propria storia. Una catena di montagne, il campanile, la Chiesa di Santa Sofia, il cavallo di Mimmo Paladino all'Hortus Conclusus. Un turbinio di pensieri, immagini: Roma contro i Liguri Apuani, la deportazione degli scampati nel Sannio, Arechi e la Langobardia Minor, la città pontificia. Un luogo dell'anima con scorci di Baviera e Serbia e Montenegro, nord ed est; ben piantata nella romanità di ponti, archi trionfali e teatri, souvenir di viaggi lungo il Nilo. Già il nome, dal greco Maloenton, l'Apollo protettore delle greggi, trasformato dai romani prima in Maleventum poi in Beneventum a sancire che tutto, sulla terra, muta nel tempo; nel male cresce il bene e viceversa. Stringo i lacci delle scarpe e ben calzato m'aggiro per vicoli e piazzette; il cervello fino segnerebbe un traguardo che pare ormai irraggiungibile ma le scarpe grosse sono ancora in dotazione, sui monti. I miei passi risuonano, nello scalpiccio dei secoli, su cadenze familiari e lo sguardo scruta scorci domestici. Il suono di una campana è saluto, richiamo, invito: è maggio, il mese di Maria, mi faccio il segno della croce e le parole sommesse ma scandite mi avvolgono: "recitiamo la terza parte del Santo Rosario, ad onore e gloria, a suffragio delle anime dei morti, secondo le intenzioni del Papa …." per quanto altrove sono a casa.Le avanguardie sociali, politiche, estetiche, celebrano la morte di ogni passato per avventurarsi in un paradiso presente e futuro, un'esperienza che può essere euforizzante ma non sarà mai liberatoria. Nessuna rigenerazione nell'oblio, nessuna innocenza.
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