sabato 12 ottobre 2019
Amazzonia: il respiro del mondo, trova da qualche giorno il suo nome ripetuto sulla stampa. La ricordo quando risposi al vescovo missionario don Josè che sarei andata a vedere il suo lavoro e ad aiutare con i miei mezzi la popolazione della foresta. So di averne allora già scritto, ma oggi di fronte al Sinodo, che il Papa ha aperto pochi giorni fa mi è ritornato vivo quel periodo così differente dalla mia vita di ogni giorno che mi è sembrato giusto il desiderio di condividerlo con chi vorrà leggere queste righe. Quando dopo il lungo viaggio scesi finalmente all'aeroporto di Belem, un'onda di bruciante calore mi diede l'impressione di essere entrata in un forno acceso. Venni accompagnata la prima notte in una casa di riposo dei monaci locali, dove ebbi a combattere con il velo che doveva liberare il mio sonno dalle zanzare. Mi sembrò allora tutto estremamente modesto e scomodo, senza immaginare che al mio ritorno da quell'esperienza amazzonica, lo avrei riconosciuto quasi elegante. Usciti dalla città, la foresta incominciava a coprire i suoi cinque milioni di chilometri quadrati. Un bosco senza confini, attraversato da immensi canali d'acqua che spesso non lasciavano vedere l'altra sponda. Trasportata da un camion dalla città di Belem alla foresta, mi trovai seduta davanti a un grande tavolo dove venivano serviti pezzi di carne arrostita, infilati su degli spiedi di ferro che venivano gettati sui piatti di ogni commensale. Una pioggia abbondante di sugo diede colore al mio abito chiaro e mi aiutò subito a comprendere che bisognava cambiare stile! Dopo qualche ora la cupa foresta si aprì davanti a uno spazio dove una fila di cespugli di fiori circondava la casa del sacerdote, una modesta chiesa, e un complesso formato da tre piccole stanze per eventuali ospiti. Come non ricordare il profumo del pane appena tolto dal forno che un ragazzo portava al mattino per la mia colazione? Bisognava mangiarlo subito perché alla sera l'umidità pesante lo avrebbe fatto ammuffire. Né si può dimenticare l'odore della "mandioca" che veniva depurata dal suo veleno quando lunghi mestoli di legno la giravano per ore in enormi pentole sotto l'ombra della foresta. E come non avvertire dietro le spalle l'ansimare degli animali che ci seguivano a poca distanza. Mentre seguivo don Josè nella sua macchina che stava assieme, secondo me, per le tante Salve Regina che il padre le dedicava, ebbi l'incontro più inaspettato: venti bambini uscirono dalla foresta in uno piccolo spazio dove erano alcune capanne. Avevo con me un cestino di caramelle e lo lasciai a terra ridendo e cantando sperando di giocare con loro. Ma d'improvviso, in una nuvola di polvere e di grida, tutto sparì dietro gli alberi oscuri e subito fu notte.
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