giovedì 25 febbraio 2021
A tutti, da quando il coronavirus ci ha tolto gran parte della socialità, mancano soprattutto gli abbracci. Una mancanza che in carcere risulta amplificata dalla chiusura, da marzo 2020, dei colloqui con i familiari all'"area verde" e negli ultimi mesi, a causa dei focolai, dalla sospensione anche dei colloqui dietro una lastra di plexiglass, nei quali peraltro l'impossibilità di abbracciarsi è resa più amara dalla difficoltà di capire cosa l'altro/a dice. E dall'impossibilità di sussurrare parole sottovoce, come possono essere dette solo certe frasi d'amore.
Prima della chiusura, spesso mi fermavo a osservare dalla finestra quanto avveniva nell'"area verde": quanta emozione si percepiva negli abbracci delle mamme ai figli, tra fidanzati, tra mariti e mogli. E la gioia dei bambini e delle bambine nel saltare in braccio al papà, al nonno o al "fratellone"... Era bello vederli giocare, sorridere, raccontarsi gioie, speranze, preoccupazioni, mangiare insieme il cibo portato da casa che riportava un po' di profumo di famiglia. I detenuti si presentavano al meglio: vestiti bene, capelli sistemati. Talvolta portavano fiori o regalini che si erano fatti venire da fuori oppure avevano costruito in cella... Piccole cose semplici, ma importanti. Mi ripeto: il carcere non può essere solo un luogo di punizione/repressione, ma deve essere luogo di rieducazione e reinserimento sociale. In questo senso l'aspetto affettivo è fondamentale.
Passata la pandemia sarà necessario affrontare seriamente il problema. Da anni giacciono in Parlamento proposte e disegni di leggi per regolamentare questo diritto umano. Ma sono sospesi. L'ultimo, a memoria, è del 2000. L'articolo principale del disegno di legge, il numero 1, parlava di diritto all'affettività (ampliandone dunque la relazione rispetto alla sola famiglia). E dice: «Particolare cura è dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all'interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi». A quando tutto questo?
Con interesse ed entusiasmo è stata accolta dai detenuti la nomina di Marta Cartabia a nuova ministra della Giustizia, con la speranza che i loro diritti vengano veramente accolti e rispettati. Una speranza rafforzata da un fatto: la prima uscita pubblica della ministra è stata una visita al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà.

Padre Stimmatino, cappellano Casa circondariale maschile "Nuovo Complesso" di Rebibbia
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