domenica 1 novembre 2020
«Siamo in una dittatura!». Poiché questa parolaccia ricorre sempre più spesso sulle labbra e sui polpastrelli di negazionisti (il Covid-19 non esiste, è stato inventato "per controllarci") e in generale di oppositori dell'attuale governo, è giunto il momento di trarre un bel respiro lungo e chiarire che cosa sia una dittatura. Inutile appellarsi alla ragione, se poi non la usiamo per cercare di far ragionare pure chi ne fa strame, rivolgendoci alla testa di chi invece ama rivolgersi perlopiù alla pancia altrui.
Dittatura e dittatore derivano dal latino dictator, letteralmente: "colui che ordina". La Repubblica romana – che aveva ben appreso la dura lezione di un regime autoritario, quello di Tarquinio il Superbo – quando era in grave pericolo poteva nominare un dux, un capo assoluto, per sei mesi. Il dittatore non poteva essere uno dei due consoli e il Senato poteva farlo decadere in qualsiasi momento. Accadde con Cincinnato nella guerra contro gli Equi, che minacciavano Roma, e con Quinto Fabio Massimo contro i Cartaginesi invasori dell'Italia. Quei dittatori antichi erano decisamente diversi da quelli moderni: a tempo determinato e sottoposti a controllo.
Nella dittatura degli ultimi due secoli tutto il potere – legislativo, esecutivo, giudiziario – appartiene a un uomo solo e alla sua cricca, che tengono in pugno ogni cosa, dall'esercito ai mezzi di comunicazione. Controllare la vita sociale significa anche, e soprattutto, controllare il pensiero, colpendo ogni forma di dissidenza. La dittatura è caratterizzata dall'assenza di libertà. Siamo in una dittatura, dunque? In effetti, di "dittatura" ci sono parecchi tipi. Senza dubbio furono dittature quelle di Hitler e Stalin, sia pure di opposto colore politico e ideologia. Quella di Mussolini era un po' diversa, una forma di cesarismo di un "capo del popolo" che controllava moltissimo, quasi tutto ma non tutto: che dittatura è quella in cui in cima allo Stato c'è pur sempre un re che può fare arrestare il dittatore, come accadde il 25 luglio 1943?
Tendiamo per comodità a definire dittatura forme diverse di governo: con un'ideologia forte o fondate su tradizione e religione, regimi militari fondati sull'anticomunismo, mettendo sullo stesso piano fascismo, nazismo e comunismo, che hanno analoghi modus operandi ma divergono decisamente sull'organizzazione economica, elemento tutt'altro che trascurabile. E allora, possiamo dare ragione a chi accusa: «Siamo in una dittatura», perché sono state varate norme che limitano la nostra libertà personale in nome di un bene maggiore, la salute pubblica? O forse viviamo in un tempo in cui porzioni sempre meno trascurabili di popolazione sono vittime di forme di paranoia collettiva?
Poiché chi grida alla dittatura in realtà manifesta spesso palesi nostalgie per i regimi dittatoriali, potremmo anche trovarci di fronte a un fenomeno di proiezione psicologica. Semplificando al massimo, speriamo non troppo: se coltivo un sentimento o un desiderio intensi, di cui però mi vergogno, può accadere di attribuirli agli altri. Succede ogni giorno a coniugi molto gelosi che accusano la moglie o il marito di tradimento, senza apparente motivo, solo perché loro tradiscono o avvertono un forte impulso a tradire. Accusare quindi qualcun altro di voler instaurare una dittatura potrebbe rivelare i propri stessi desideri mal tollerati. Accade davvero molto spesso, ad esempio quando chi brama l'affermazione di un unico pensiero – il proprio, "la verità" – accusa la società di voler imporre un "pensiero unico" dai contorni non meglio precisati. Paranoie. E prive di un "senato interiore" che le possa far decadere.
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